«Rompendo il silenzio», un video

I soldati israeliani pentiti denunciano le violenze sui civili

I soldati israeliani pentiti denunciano le violenze sui civili
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«Rompere il silenzio» (Breaking the silence), quello dei media e quello della società israeliana, sulla realtà quotidiana dell’occupazione nei territori palestinesi. Sono veterani israeliani, i Soldati che parlano chiaro (questo il titolo della raccolta che presenta le loro testimonianze). E che denunciano come «i casi di abuso, furti, razzie e distruzione delle proprietà dei palestinesi siano la norma ormai da anni, mentre Israele li presenta come episodi isolati o estremi».

«La vita per i palestinesi è semplicemente insostenibile». Dotan Greenvald, del 50esimo Battaglione della Nathal Brigade, racconta: «Lanciammo una granata fumogena con il pretesto di un’operazione strategica (…) ma non ce n’era alcun bisogno (…). Grazie alle nostre attività di controllo, la vita, in quei posti, diventa semplicemente insostenibile». Una giovane ex soldatessa ricorda come, ai check point, «anziani e donne incinte venivano rimandate in fondo alla fila, magari dopo un’attesa estenuante, perché erano state troppo lenti nel tirare fuori i permessi per passare». Per entrare in territorio palestinese, tornare a casa.
Un altro veterano, operativo nella regione di Nahal Oz, parla di quando uccisero una pecora di un anziano pastore palestinese «perché non si allontanava dalla recinzione sorvegliata dai nostri tank». Anche lui sottolinea il clima di arbitrarietà: «L’abbiamo abbattuta così, per dargli una lezione, non c’era reale pericolo (…) l’ordine era di sparare a chiunque si avvicinasse, la percezione era che avvicinarsi alla recinzione equivalesse a una condanna a morte».

Oltre la sottile linea rossa della morale. Lo scopo di Breaking the silence, l’organizzazione che li intervista e promuove in rete i loro video è semplice: «Quando ci siamo arruolati nell'esercito l’abbiamo fatto per amore del nostro Paese. Oggi siamo guidati da questo stesso amore. Lo Stato in cui vogliamo vivere non impone il suo controllo sulle persone», dice il direttore, il veterano Yuli Novak. Breaking The Silence vuole mostrare come le pratiche di controllo sulla vita quotidiana della popolazione palestinese oltrepassino sovente quella «linea rossa morale» da cui è difficile – anche per i veterani - tornare indietro.

Un grido per il futuro. «Come soldati abbiamo una sola domanda per il nostro governo. In nome delle sicurezza di Israele ci avete mandato a Gaza, Nablus, Jenin, Hebron e Ramallah. Ci avete mandato a pulire, mitigare, a rischiare e a occupare. Ci avete mandato a Days of Penitence, First Rain, Defensive Shield, Summer Rains, Hot Winter, Cast Lead, Pillar of Defense (sono i nomi delle operazioni military intraprese da Israele negli ultimi dieci anni, ndr). Netanyahu, Lieberman, Bennett, Lapid: che tipo di futuro state progettando per noi?».

Che cos’è Breaking The Silence. Breaking The Silence è un’organizzazione no-profit fondata da ex combattenti dell’Israel Defence Forces (IDF) che, a partire dalla Seconda Intifada, denuncia le violenze perpetrate nei confronti dei civili di Gaza e in Cisgiordania. Oltre a pubblicare le video-testimonianze, gli attivisti promuovono tour nei territori occupati e producono dettagliati dossier suddivisi per tipologia di abuso, operazione militare, zone d’intervento e periodo storico. Le iniziative dell’organizzazione sono spesso ostacolate dalle frange nazionaliste israeliane e il console israeliano in Irlanda li ha recentemente definiti «i soliti idioti». Nel 2009, il governo e la stampa di Tel Aviv attaccarono i governi europei che sostenevano economicamente l’organizzazione.

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