Passa dall'Italia il futuro della Libia

Il caos libico e l'avanzata dell’Isis Cosa discute la conferenza di Roma

Il caos libico e l'avanzata dell’Isis Cosa discute la conferenza di Roma
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Il futuro della Libia potrebbe passare dall’Italia. È la Farnesina, infatti, ad ospitare domenica 13 dicembre la Conferenza Internazionale sulla Libia. Si tratta di un appuntamento importante, promosso dal ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni (ma fortemente voluto dagli Stati Uniti), che ha l’obiettivo di favorire un accordo per un governo di unità nazionale con sede a Tripoli. Vi parteciperanno i ministri degli esteri dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) insieme ai delegati dell’Unione europea, ai rappresentanti delle Nazioni Unite (con il nuovo inviato in Libia, Martin Kobler) e a quelli dei Paesi regionali coinvolti, come Egitto, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, oltre a Tunisia e Marocco.

Proprio alla vigilia della conferenza di Roma è stato annunciato che le delegazioni di Tobruk e Tripoli hanno raggiunto un'intesa per firmare il 16 dicembre l'accordo per un nuovo governo di unità proposto dall'Onu. Tuttavia, i presupposti esistenti lasciano presagire che il governo che uscirà dall’accordo Onu sarà molto debole, con una limitata legittimità territoriale e con pochi poteri sulle milizie armate. L’aspettativa, soprattutto italiana, è che questo fantomatico governo possa in qualche modo essere l’interlocutore con cui siglare accordi bilaterali che limitino il fenomeno dell’immigrazione incontrollata nel Mediterraneo.

 

 

La lotta all’Isis è prioritaria. Ma oltre che per tirare fuori dal caos la Libia, il summit alla Farnesina è di fondamentale importanza per affrontare la “priorità assoluta”, per usare le parole di Renzi, costituita dalla lotta all’Isis. Perché lo Stato Islamico in Libia è pressochè incontrastato e non ci sono attori che lo combattano militarmente. Lo dimostra il fatto che sono circolate voci sulla presenza a Sirte del Califfo al Baghdadi. Che siano vere o no, sono significative per avere un’idea di quanto la Libia sia considerata importante per l’affermazione del progetto del califfato e rappresenti il piano “B” nel caso in cui Raqqa venga persa.

In questi giorni lo Stato islamico ha preso possesso di Sabrata, il sito patrimonio Unesco che insieme a Leptis Magna è un vanto per l’archeologia libica. Sabrata rappresenta il punto più occidentale raggiunto dagli jihadisti fino a oggi. Oggi l’Isis in Libia si stima controlli circa 300 chilometri di costa e un recente rapporto dell’Onu ha riferito che i suoi combattenti siano tra i duemila e i tremila. L’avanzata jihadista è stata resa possibile dal fatto che lo Stato islamico sfrutta le situazioni di crisi dei vari Paesi per potersi espandere e trovare adepti. È successo nello Yemen, anche se il caso più eclatante è l’avanzata in Siria. Ma in principio era successo in Iraq, dove l’Isis è nato sfruttando il vuoto normativo e il caos generato dalla guerra condotta per mano americana.

Una nuova Siria? La Libia, potrebbe diventare così una nuova Siria, seppur con le debite differenze dovute al fatto che in Siria un governo esiste, quello di Assad, mentre in Libia dopo la caduta di Gheddafi c’è un caos che non è ancora stato domato. La roccaforte del jihadismo è Sirte, città natale dell’ex rais. Qui molti combattenti libici di ritorno da Siria e Iraq - si dice circa 1500 cioè oltre la metà di tutti gli jihadisti fedeli all’Isis nel Paese -, hanno trovato riparo e oggi Sirte è considerata una colonia dell’Isis in posizione strategica perché vicina ai giacimenti di petrolio. Nell'area pare stiano arrivando anche foreign fighters dai Paesi dell’Africa sub sahariana.

 

 

La versione di Blair. Alla vigilia della conferenza di Roma è interessante notare che l’ex premier britannico Tony Blair abbia voluto difendere, davanti alla commissione Esteri del Parlamento di Sua Maestà, l’intervento militare in Libia del 2011 che ha deposto Gheddafi. Secondo Blair la guerra condotta dall’Europa potrebbe avere risparmiato al Paese un caos ancora più devastante dell'attuale e questo nonostante il bagno di sangue in corso che sta in queste ore registrando l'ennesimo tentativo dell'Isis di incrementare la sua profondità strategica oltre il perimetro siriano e iracheno. «Oggi la Libia costituisce un reale problema di sicurezza internazionale. Un problema di sicurezza anche per noi, ritengo», ha spiegato Blair. «Ma non penso che si possa affermare che sarebbe stato meglio se non fossimo intervenuti. Perché allora bisogna mettere nel conto anche come tutto sarebbe andato se Gheddafi avesse potuto continuare a difendersi a tutti i costi. Guardando oggi alla Siria, dove non siamo intervenuti, ci accorgiamo che è persino peggio».

Francia e Gran Bretagna favorevoli a un intervento militare. Le parole di Blair suonano quasi come una minaccia, poiché di fatto in Libia nessuno sta combattendo l’Isis. E se a Roma la conferenza sulla Libia vuole appoggiare la soluzione politica, Parigi e Londra sembrano essere meno inclini alla diplomazia. «Siamo in guerra, abbiamo un nemico, Daesh, che dobbiamo combattere e distruggere in Siria, in Iraq e presto in Libia» ha dichiarato il premier francese Manuel Valls, che ha ipotizzato un’estensione dell’operazione militare in Medio Oriente contro l’Isis alla Libia, sempre in chiave anti-califfato. E già la scorsa settimana aerei militari francesi hanno sorvegliato i cieli libici. L’idea di Valls è condivisa anche dalla Gran Bretagna, i cui Ministeri di Esteri e Difesa si sono detti «estremamente preoccupati» per la repentina avanzata islamista in Libia e hanno annunciato di lavorare a piani di intervento militare.

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