Gli aumenti delle autostrade? Ingiustificati, insensati e antistorici

Anche quest’anno gli italiani si son svegliati nel nuovo anno con una bella sorpresa. Stiamo parlando degli aumenti delle tariffe dei pedaggi autostradali entrati in vigore proprio allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre. Adeguamenti delle tariffe con un rialzo medio dello 0,86 percento, una percentuale che potrebbe far pensare bene visto che nel 2015 l’aumento medio era stato dell’1,32 percento e due anni fa del 3,2 percento. Ma che, in realtà, rappresenta l’ennesimo sgarro a tutti quegli italiani che, ogni giorno, sono costretti per i più svariati motivi a salire in auto e a percorrere tratti delle autostrade nostrane.
Cosa aumenta e di quanto. Su 27 autostrade (gestite da 23 diverse società) sono in realtà solo 6 quelle con nuove tariffe, rispetto alle 17 dello scorso anno, tanto che l’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (Aiscat), attraverso un comunicato stampa, ha anche attaccato il governo per aver dato l’ok soltanto a questi aumenti, mentre l’adeguamento delle tariffe di altre società (e quindi altre autostrade) è rinviato all’approvazione dei relativi Piani Economici Finanziari. Tra i tratti autostradali più “tartassati”, la palma d’oro va certamente alla Torino-Milano gestito dalla SATAP Tronco A4 S.p.A., che dal 2016 costa il 6,50 percento e che già un anno fa aveva ritoccato le proprie tariffe al rialzo dell’1,50 percento. Segue l’aumento della Strada dei Parchi S.p.A., il tratto di A24 che collega Roma e Teramo, con un più 3,45 percento, e la recentissima Teem, che appena nata già ritocca al rialzo le proprie tariffe del 2,10 percento. Fa segnare un più 1,09 percento Autostrade per l’Italia S.p.A e un più 1 percento tondo tondo la nuova Pedemontana Lombarda. Chiude questa poco virtuosa classifica la società gestrice ATIVA S.p.A., con un più 0,03 percento.
Nuovi incassi, ma niente investimenti. Tutti gli adeguamenti sono contenuti nei decreti interministeriali firmati di concerto dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, confermando una particolarità tutta italiana e, manco a dirlo, per niente virtuosa: il nostro si conferma l’unico Paese europeo privo di un governo capace di dettare e non di farsi dettare gli interventi infrastrutturali necessari. Tutti questi aumenti, infatti, porteranno nuove entrate nelle casse delle società gestrici, le quali, se confermassero le azioni del passato, non le useranno per compiere investimenti in nuovi servizi e nuove opere per gli automobilisti, bensì in attività finanziarie utili soltanto a loro. Così almeno la vede Dario Balotta, esperto di trasporti e firma de Il Fatto Quotidiano. Balotta, nel suo articolo, mette in luce tutte le contraddizioni di questo provvedimento, a partire dal fatto che questi aumenti arrivano in un momento storico di crisi economica, con aumenti doppi rispetto al tasso d’inflazione. Un meccanismo di calcolo «da rapina».
Aumenti ingiustificati. Ma soprattutto questi aumenti risultano essere del tutto ingiustificati e insensati. Il sistema autostradale italiano è il più vecchio d’Europa, con costi di realizzazione già ampiamente ammortizzati nel tempo. Il traffico sulla rete è in costante crescita da 30 anni a questa parte, escluso l’ultimo biennio (ma comunque negli ultimi 12 mesi è rimasto costante); le finanze dei 23 concessionari sorridono con extra-profitti che non giustificano un ulteriore aumento, ma che sono riusciti a strappare promettendo investimenti (senza alcuna garanzia di realizzazione chiaramente) e strappando per di più un rinnovo delle concessioni senza alcuna gara. Una posizione monopolista che contrasta, secondo Balotta, «con gli interessi generali di sviluppo, con la tutela dei consumatori e le norme europee». Eppure, nonostante tutto, nonostante a pagare siano ancora una volta gli italiani, la lobby dei trasporti rappresentata dall’Aiscat si permette anche di fare l’offesa perché il governo ha dato l’ok all’adeguamento delle tariffe di sole 6 società, dimenticando forse che ad oltre metà della rete sono stati autorizzati aumenti del pedaggio dell’1 percento, per ora solo sospesi al resto della rete, e che su tutte le autostrade è invece già scattato, con l’arrivo del 2016, l’aumento del canone mensile Telepass, passato da 0,70 euro a 1,50 euro, un rincaro che riguarderà il 65 percento degli utenti delle autostrade e che ha permesso alle società di ridurre la spesa dell’occupazione (l’uso del Telepass, infatti, rende inutili i casellanti). E oltre a ridurre l’occupazione a favore dell’automatizzazione, le società ne hanno approfittato per ridurre anche le spese in sicurezza. Al momento, dunque, i pendolari italiani si trovano a dover pagare di più per viaggiare su strade che non solo costano meno in termini di mantenimento, ma sono addirittura meno sicure di prima.
L'insensato aumento di Teem e Pedemontana. Un ultimo piccolo capitolo meritano invece gli aumenti di tariffe dei nuovi tratti autostradali lombardi, nello specifico Teem e Pedemontana: sebbene le loro tariffe, insieme a quelle della Brebemi, siano già ampiamente fuori mercato, si è pensato bene di aumentarle ulteriormente, senza rendersi conto che questa politica non farà altro che tenere lontani utenti che già oggi non utilizzano quelle strade. E lo Stato sarà così costretto a colmare le lacune immettendo soldi, come già avvenuto con la Brebemi. Brebemi che, insieme alla Teem, proroga lo sconto del 15 percento per i pendolari e per chi percorre interamente la tratta: mossa alquanto inutile se si considera che le ultime rilevazioni parlano di un’utenza per lo più occasionale e “residenziale”, ovvero legata al territorio e che difficilmente percorre interamente il tratto o ci passa più volte a settimana. E così, mentre le vecchie autostrade continuano a incassare, le nuove vanno sempre più in crisi, con lo Stato costretto a intervenire. Un disequilibrio evidente, a cui però pare che nessuno voglia porre rimedio. E noi, intanto, paghiamo.