Gustoso libro di due americani

Il fastidio delle unghie sulla lavagna e tutte le altre cose che ci irritano

Il fastidio delle unghie sulla lavagna e tutte le altre cose che ci irritano
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«Ci sono persone che si incontrano, si innamorano e passano tutta la vita assieme, senza mai rivolgersi malamente al marito o alla moglie. E poi ci sono i sei miliardi di persone che abitano il pianeta». Inizia così il capitolo 10 (La verità è che non lo irriti abbastanza) di Fastidio, cosa ci irrita e perché, libro a quattro mani di due giornalisti statunitensi: Joe Palca e Flora Lichtman. Famoso e titolatissimo il primo, freelance la seconda. Devono essersi conosciuti alla radio, perché entrambi lavorano a Science Friday, programma di divulgazione scientifica del venerdì.

Il libro è molto americano: rigore scientifico sullo sfondo (in America fai un errorino scientifico e sei finito come divulgatore), linguaggio estremamente comprensibile, tante storie di scienziati che sono arrivati a capire questo o quel fenomeno o hanno continuato gioiosamente per tutta la vita a sbattere il capo contro una difficoltà insormontabile per poi finire sulle prime pagine di giornali e telegiornali per averne risolta un’altra. Sparso ovunque e a piene mani un sorriso come quello che viene leggendo la frase con cui abbiamo iniziato.

Alla fine non si sa ancora bene cosa sia il fastidio (una definizione scientifica non solo non esiste ancora, ma si ha la sensazione che chi riuscisse a darla passerebbe alla storia come chi ha definito una sindrome clinica - Asperger, Huntington, Tourette - o trovato un vaccino) ma tutti quelli che esistono li abbiamo passati in rassegna riconoscendoli perfettamente come tali.

 

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In cima a tutti l’odore della moffetta - la puzzola americana - e lo stridio delle unghie sulla lavagna per quel che riguarda i fastidi che toccano direttamente i sensi; le conversazioni al cellulare di vicini di posto in metro o in aereo (gli americani usano poco il treno) per quelli di tipo ambientale. Al primo è stato trovato un rimedio a base di acqua ossigenata e altri composti chimici - si tratta di una delle poche storie di successo, dicono gli autori -; gli altri si ha l’impressione che dobbiamo tenerceli. Si può provare a conviverci, non evitare che si producano. Bene che ci vada possiamo tentare di spuntarne gli aculei o di ridurne le conseguenze nel tempo. Di più, al momento, non si riesce a fare.

Il libro è bello anche per questo: perché racconta le numerose ricerche in corso sia in ambito genico (basta un niente nel DNA per renderci insofferenti a un sacco di cose. Sembra), sia clinico (questione di recettori, di zone del cervello, di ormoni), sia psicologico, sia linguistico, sia sociologico, e forse altro ancora perché il fastidio è universale, trasversale, multidisciplinare. E il tutto raccontato presentando vicende di scienziati che hanno passato la loro vita impegnati a risolvere i problemi più assurdi in situazioni che uno si domanda: Ma come gli è venuto in mente, a questo qui, di - è il caso di un tedesco - andare in una regione dell’Africa equatoriale, per trovare una popolazione che non avesse mai, nemmeno di striscio, ascoltato musica occidentale, con l’intento di capire da una parte quale fosse la loro musica e, dall’altra, come reagissero alla nostra.

Oppure di quell’altro personaggio che ha fatto soldi a palate puntando tutto sulla convinzione certificata che Freud, Jung, Adler e altri numi tutelari della psicoanalisi e delle scienze affini fossero solo dei “matti da legare”. E dimostrando di avere ragione lui, fra l’altro. O quell’altro - Nikolaas Timbergen - che ha vinto il Nobel per essersi accorto che il pesciolino in vetta ai suoi pensieri fin da piccolo, lo spinarello, reagiva in modo inconsulto all’arrivo del furgone - rosso - della posta.

 

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C’è - spiegato in dettaglio, con tanto di citazioni da TV Sorrisi e Canzoni -  il caso di Materazzi e della testata di Zidane. C’è il caso del marito che ogni volta che si trova con amici racconta la solita - sempre quella, da anni - barzelletta e della moglie che lo interrompe e lui che cerca di difendersi, ma ormai la serata è andata. Questo della barzelletta è un caso interessante anche perché gli autori ne raccontano l’inizio e poi la lasciano a metà perché devono spiegare certi meccanismi. Ma come giri pagina, in nota, si trova raccontato anche il seguito. Palca e Lichtman sanno benissimo che una barzelletta lasciata a mezzo è fastidiosa.

Ci sono - riportate e spiegate perfettamente - scene di film che ci hanno fatto ridere generando la questione interessante, e niente affatto semplice, di come mai certe cose che ci irritano, quando sono riferite ad altri, ci suscitano piacere. C’è il caso dell’inversione edonica - com’è che una cosa che ci infastidisce, come il peperoncino, finisce per piacerci - e quello del masochismo benigno (spiegato a pag. 37).

 

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Soprattutto c’è, sparsa a piene mani, la convinzione che l’umanità - “lo sguardo attento di Hollywood”, come viene chiamato per indicare sinteticamente il grado più elevato della capacità di osservazione di cui ciascuno di noi dispone - non solo sia generalmente in grado di riconoscere il fastidio quando si presenta, ma sappia anche come difendersi. La scienza - medicina e psicologia - potranno esplicitare in termini biochimici e neuronali certi meccanismi. Darwin ha aiutato, e continua ad aiutare molto, la comprensione di alcuni processi evolutivi che hanno portato, per esempio, un animaletto di qualche chilo come la succitata moffetta Mephitis mephitis (cioè puzzolente proprio) a dotarsi di strumenti in grado di mettere in fuga un bestione di qualche quintale come un grizzly. Ma ciascuno di noi è già fornito degli arnesi coi quali combattere la sua battaglia quotidiana contro gli scocciatori, i lamentosi, i perfettini come Felix Ungar (Jack Lemmon) di La strana coppia, i colleghi che ripetono sempre le stesse frasi insensate, i vicini che - come riportato nel libro - sono così affezionati alla loro biancheria da non togliersela mai nel corso della settimana, evitando al contempo di farsi una doccia.

Sono questi non-noi, purtroppo, che non sono in grado di riconoscere le loro capacità offensive. E pare che non ci sia proprio rimedio a questa situazione perché se gli dici qualcosa, a certa gente, rischi di infastidirla, tanto per rimanere in tema. E alla fine, tante volte, si arrabbia anche (che è il limite superiore del fastidio). Dicono sia una questione di lobi frontali o di corteccia cingolata anteriore dorsale. In ogni caso: meglio evitare. Evitare sempre. Stare alla larga fin che si può. È la terapia, e anche la profilassi, più sicura.

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