In memoria delle vittime del covid

Il gran concerto in Duomo che non s'avea da fare, tanto meno così

Il coro del Brenta e l'orchestra Ars Armonica in Duomo. L'amarezza dei coristi e dei musicisti bergamaschi. Ma le norme anti-Covid valgono solo per noi?

Il gran concerto in Duomo che non s'avea da fare, tanto meno così
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di Angela Clerici

Qualcosa bisognava fare, non c’è dubbio. Siccome i cori in questi mesi non hanno potuto riunirsi per le prove e siccome anche le orchestre hanno avuto difficoltà, si poteva optare per un grande maestro di organo. Sì, si poteva fare in duomo un gran concerto d’organo. O una meditazione musicale, come vogliamo chiamarla. Oppure un concerto di musica barocca con una piccola orchestra, per rispettare le distanze dovute all’emergenza Covid.

Invece no. Giovedì 18 marzo sera, in Duomo, si è svolto un gran concerto con l’orchestra Ars Armonica diretto da Damiana Natali e il coro Città Piazzola sul Brenta diretto da Paolo Piana, con tanto di soprano (Federica Vitali), contralto (Anna Maria Chiuri), tenore (Ivan Defabiani), basso (Marco Spotti). Nel sito dell’orchestra Ars Armonica si legge che «Il momento musicale fa parte della celebrazione di raccoglimento e preghiera in memoria delle vittime e a sostegno spirituale delle famiglie, che verrà presieduta da S. E. il vescovo e dal segretario generale Mons. Giulio Dellavite per innovare una nuova primavera di vita in vista della Santa Pasqua».

Quindi è stato un concerto o non è stato un concerto? E perché non si è usato questo termine per definire la serata musicale?

La faccenda ha amareggiato, e molto, i musicisti bergamaschi, che ci tenevano tanto a cantare e a suonare per i loro morti. Ed è comprensibile. In realtà, un gruppo dei mille e trecento coristi orobici che aderiscono all’Usci, l’organismo che coordina i tanti cori e corali della nostra provincia, e un gruppo di orchestrali bergamaschi avrebbero dovuto essere protagonisti di un grande concerto proprio giovedì sera in Santa Maria Maggiore, evento programmato l’estate scorsa. In particolare, avrebbero dovuto eseguire il Requiem composto proprio nel marzo scorso, sull’onda emotiva della tragedia, dal maestro Gentilini, direttore della Cappella di Santa Maria Maggiore.

Ma a novembre la macchina organizzativa era stata fermata per il divieto di assembramenti, quindi anche il divieto per i cori di effettuare le prove. Divieto valido anche per le orchestre. Le formazioni da camera hanno potuto provare in certi periodi, pur rispettando le distanze, perché composte da pochi elementi. Per i cori la distanza minima tra un cantore e l’altro era di tre metri. Una formazione di cinquanta elementi avrebbe avuto bisogno di un teatro o sala da 150 metri per 150 metri, 2,25 ettari di terreno! Quindi, a malincuore, i musicisti bergamaschi hanno dovuto rinunciare a suonare e a cantare per i loro conterranei deceduti e per le loro famiglie. La data del 18 marzo è particolarmente significativa, è la sera in cui i camion militari portavano via dalla chiesa del cimitero di Bergamo le salme dei morti per Covid. Momenti terribili. Ma la legge è legge e in tempi come questi è molto importante che venga rispettata. Niente concerto.

Ma poi, nove giorni or sono, è arrivata la notizia, improvvisa come un fulmine a ciel sereno: il concerto si farà con un Coro del Brenta e con l’orchestra Ars Armonica. E i musicisti bergamaschi al momento hanno pensato a uno scherzo di dubbio gusto. Ma come, hanno detto, la Curia diocesana ha quindi organizzato il concerto senza dirci niente? E si tratterebbe di «un atto di grande coraggio»? Ma le regole anti-Covid? Le norme del distanziamento valgono solo per noi? (...)

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