Dopo che ieri me l'hanno ritirata

Il mio primo giorno senza patente

Il mio primo giorno senza patente
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Notte agitata questa notte. Il pensiero dell’auto abbandonata (causa ritiro patente), laggiù all’angolo opposto della città un po’ m’inquieta. Scopro di avere un rapporto che è quasi affettivo, come se fosse una parte di me. Poi c’è il pensiero del tragitto che mi attende per essere alle nove puntuale in ufficio. La riunione è importante, non posso sbagliare i tempi. Faccio i calcoli a ritroso tra un sonno e l’altro e alla fine per stare tranquillo decido che il meglio è uscir di casa alle 7,15.

Il percorso che mi attende è pieno di incognite, in quanto non mi è davvero familiare. Obiettivo primo: arrivare alla stazione. A piedi calcolo circa 20 minuti. Il freddo è tosto. In famiglia mi hanno gentilmente suggerito la scorciatoia che passa attraverso il parchetto comunale. Peccato che tra i vialetti illuminati ancora dai lampioni, sfreccino cani di ogni tipo.

Me la filo in fretta. Alla stazione c’è il biglietto da fare, ovviamente: di multe ne ho presa già una ieri, meglio non rischiare. Sono l’unico a farlo, perché il popolo del treno delle 7,40 è un popolo di abbonati. Do 10 euro, mi danno una carrettata di monete di resto, così non riesco neanche a capire bene cosa costa il biglietto. Tralascio i dettagli di un viaggio che immaginavo diverso: di telefonare tranquillamente senza timore di vigili, non se ne parla... Siamo talmente stretti che è un’impresa tirar fuori il cellulare dalla tasca.

 

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Alla stazione prima d’imbucarmi nella metropolitana mi ferma un venditore di Lotta Comunista. Son tutto meno che comunista, ma il tipo con quella voce un po’ accattivante, stile testimone di Geova, mi incuriosisce. Nulla del tono rabbioso da centro sociale. Mi spiega che sabato faranno una manifestazione in uno dei maggiori teatri della città. Ovviamente mi invita. «Contro la guerra», spiega. Non gli chiedo quale. Gli chiedo invece se sono convinti di riempirlo, visto che gli anni 70 sono passati da un pezzo. Lui senza scomporsi né offendersi mi dice che ci sarà addirittura chi resterà fuori. Non mi convince, ma comunque medito su questi segmenti nascosti e a me ignoti della mia città. Comunque per cortesia gli prendo il giornale.

Quando salgo sulla metropolitana vedo che qualcuno mi guarda un  po’ strano. Lo sfoglio, vedo un idealismo fuori dal tempo che mi fa quasi tenerezza. Il viaggio pendolare prevede un ultimo tratto in tram, alla fermata il contaminuti ne segna 6 di attesa. Da un piccolo totem con carrello, esce una voce registrata che pone domande spiazzanti: «Sai perché ci sono le stelle? Sai perché c’è il male nel mondo?». Stavolta sono davvero i testimoni di Geova che lì vicino stanno cercando proseliti.

 

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Stavolta giro alla larga. Mentre aspetto decine di macchine mi sfrecciano davanti. Penso al beato destino dei patentati, che non prendono freddo, che vanno veloci, e che magari non sanno che la loro patente è scaduta perché nessuno, come è capitato a me, li ha avvertiti. Alla fine, dopo un’ora e trequarti, varco il cancello. Il primo pensiero è per la mia auto. Vado a vedere se è tutto a posto, le tolgo un po’ del ghiaccio che ancora incrosta i vetri. E con un po’ di rimpianto la lascio lì. Anche per oggi non è giorno. Forse domani se tutto va come mi hanno garantito. Stasera visita medica. Altra attraversata della città. Troppo tardi per andare al comando dei vigili e riavere quel pezzo di me stesso che mi hanno portato via: la patente. Dovrò fare domani. Domani sarà davvero un altro giorno...

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