Il ruolo di Russia, Cina, Giappone

Il mondo in altalena per le borse Quanto influisce la crisi del petrolio

Il mondo in altalena per le borse Quanto influisce la crisi del petrolio
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L'andamento delle borse è la variabile impazzita delle economie in queste ultime settimane: fra crolli vertiginosi e rialzi inaspettati, i mercati stanno tenendo con il fiato sospeso tutti i Paesi del mondo, giacché la globalizzazione finanziaria ormai radicata fa sì che stravolgimenti anche di un solo indice determinino i risultati di tutti gli altri. Il tema è particolarmente tecnico e complesso, anche se però è possibile individuare alcuni elementi considerabili come cause di questi imprevedibili andamenti borsistici e ormai noti a tutti.

Il prezzo del petrolio. Da diverso tempo ormai la maggior parte dei giornali concede notevole spazio al continuo ribasso del prezzo del petrolio, che sta toccando minimi pressoché storici. I motivi di questo crollo sono diversi: in primo luogo, il prepotente ingresso sulla scena mondiali da parte degli Stati Uniti, che da alcuni anni a questa parte hanno avviato un programma di estrazione petrolifera interna (avvantaggiato dall'innovativo metodo del “fracking”) tale da avvicinare il Paese all'indipendenza energetica e soprattutto da renderlo un esportatore potenzialmente inavvicinabile, nemmeno dagli storici produttori mediorientali (Arabia Saudita su tutti). La conseguenza della grande attività estrattiva da parte degli Usa è evidente: c'è molto più petrolio sul mercato rispetto a qualche tempo fa, complice anche la contromossa dei sauditi che hanno seguito gli Usa nell'immettere greggio sul mercato.

E le borse? E per la più basilare delle regole di microeconomia, quella per cui l'incrocio fra la domanda e l'offerta determina il prezzo, il costo del greggio ha cominciato a calare vistosamente: più merce è a disposizione, minore sarà il suo costo. Ad aggravare la situazione, l'abolizione delle sanzioni imposte all'Iran una decina d'anni fa, che ha riportato sul mercato un competitor non indifferente, in termini di produzione di petrolio. Ma cosa c'entra tutto questo con le borse? Semplice: calano i prezzi e non aumenta la domanda, quindi i guadagni per le compagnie petrolifere (che sono le società più potenti e influenti sulle economie statali del mondo) diminuiscono; a minor guadagno corrisponde un'inevitabile svalutazione delle azioni legate al mondo del greggio, che quindi vengono vendute il più e prima possibile dagli investitori detentori, onde evitare di trovarsi con in mano titoli dal valore nettamente inferiore rispetto a quando erano stati acquistati; il mercato dunque, complessivamente, “vale” meno di prima (poiché la somma del prezzo delle azioni è inferiore), e quindi gli indici di borsa riflettono questa minusvalenza in punti percentuali.

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Financial Markets Wall Street

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Hong Kong Financial Markets

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Japan Financial Markets

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Russia Economy

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South Korea Financial Markets

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South Korea Financial Markets

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Spain Financial Markets

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Spain Financial Markets

Il caos cinese. Un trittico orientale alle cui economie il mercato mondiale è particolarmente sensibile. Per quanto riguarda la Cina, il discorso da un certo punto di vista non è differente rispetto a quello fatto a proposito del petrolio: c'è, anche in questo caso, una generale minusvalenza, qui dell'economia cinese in generale. Nello specifico, il Pil di Pechino, cresciuto a botte di 13-14 punti percentuali all'anno nel primo decennio degli anni Duemila, è ormai diverso tempo che ha dimezzato i propri ritmi, attestandosi al 6-7 percento (un'enormità, comunque, rispetto a tutte le economie occidentali). Questo calo ha notevolmente inciso sulla quantità di investitori occidentali che portano capitali in Cina, poiché comincia a non essere più conveniente come una decina di anni fa (l'economia non cresce abbastanza da giustificare investimenti dall'altra parte del mondo). Meno capitali, dunque meno soldi, dunque meno valore delle azioni, dunque calo della borsa.

Russia e Giappone. Essendo però la Cina, comunque, strettamente legata da infinite partnership con società di tutto il globo, se cala il valore del mercato cinese cala anche quello dei mercati di moltissimi altri Paesi. Per quanto riguarda la Russia, il discorso è un intreccio fra quanto detto a proposito del petrolio e della Cina: Mosca, già di per sé colpita dalle sanzioni impostele lo scorso anno, vive dell'esportazione di risorse energetiche, fra cui ovviamente il petrolio; calando il prezzo di quest'ultimo cala la ricchezza complessiva del mercato russo, e quindi calano gli indici borsistici, con conseguenze negativi per tutti coloro (molti, ovviamente) che hanno rapporti commercali con Mosca. Discorso diverso invece per quanto riguarda il Giappone, nazione la cui economia si regge fondamentalmente sulle esportazioni e quindi sul valore della propria moneta, lo yen. Quest'ultimo, negli ultimi tempi, ha accresciuto notevolmente il proprio valore, poiché ha da sempre rappresentato un investimento sicuro per tenere al riparo capitali, ma questa dinamica ha cominciato ad essere eccessiva, e il valore dello yen è dunque notevolmente aumentato. Cosa che, inevitabilmente, si traduce in una difficoltà ad esportare, poiché le merci costano ovviamente di più. L'economia, quindi, cala, e con essa, come spiegato, la borsa di Tokyo, che influenza, ormai è chiaro il motivo, quelle di tutto il mondo.

L'Italia e le banche. Il nostro Paese, che ha sempre avuto titoli borsistici molto forti (l'anno scorso il Mib di Piazza Affari è stato fra i migliori al mondo), soffre in questo momento soprattutto in seguito alla crisi delle banche, riassumibile così: in Italia, tradizionalmente, le imprese hanno sempre trovato accesso al credito per finanziare le proprie attività grazie proprio a prestiti bancari; ma per queste ultime il problema si manifesta nel momento in cui i debitori divengono i solventi, ovvero quando le imprese che hanno richiesto un prestito non sono in grado di restituire i soldi. I crediti bancari insoluti in Italia, in questo momento, toccano la vertiginosa cifra di 350 miliardi di euro. Gli istituti di credito, che tradizionalmente rappresentano alcuni dei principali erogatori di titoli azionari, non sono più visti dunque come luoghi sicuri, e ciò comporta un minor flusso di investimento finanziario, e dunque un crollo del valore complessivo del mercato, con conseguente calo degli indici borsistici. Ma niente paura: l'Unione Europea ha fatto sapere di aver accelerato le procedure per la creazione delle cosiddette “bad banks”, ipotetici calderoni in cui le banche potranno rovesciare tutti i propri crediti insoluti, così da non danneggiare i comparti “sani” dell'istituto, che poi verranno ceduti ad apposite società di recupero credito, a cui toccherà il compito di riscuotere quanto possibile. Da quando questa notizia ha iniziato a circolare (intorno a mercoledì 20), la borsa italiana ha ricominciato a stabilizzarsi.

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