Il New York Times torna a Bergamo per raccontare le cicatrici lasciate su di noi dal Covid
Chi è sopravvissuto alla prima ondata ha gli stessi traumi dei reduci di guerra. Ansia e depressione crescono, così come il consumo di sostanze stupefacenti o alcoliche. Al lutto ha fatto seguito la paura e la rabbia. Il noto giornale statunitense racconta la situazione nella nostra provincia
Non solo una lunga scia di lutti. Il Covid, con il suo passaggio, ha lasciato nei familiari delle vittime e in chi è sopravvissuto le stesse ferite provocate da una guerra. Il virus nella nostra provincia non ha avuto un impatto devastante soltanto per quel che riguarda il tasso di mortalità, il più alto d’Europa, ma ha anche provocato gli stessi traumi psicologici visibili sui reduci. Lo racconta il New York Times, che dopo il reportage della scorsa settimana dedicato agli errori della gestione dell'emergenza compiuti dall'Italia e "letti" proprio sulla base della sofferenza vissuta da Bergamo, ha pubblicato un secondo reportage realizzato raccogliendo testimonianze di diverse persone che vivono in Val Seriana, epicentro italiano della prima ondata pandemica (QUI l'articolo tradotto in italiano). In provincia è aumentato il numero delle persone che abusano di sostanze stupefacenti e di alcolici, così come sono cresciuti di pari passo i livelli di ansia e depressione.
A Nembro una psicologa specializzata in disturbi post-traumatici ogni lunedì conduce sessioni di terapia di gruppo per superare il dolore vissuto nei mesi più bui del lockdown. «La provincia che per prima ha dato all’Occidente un’anteprima degli orrori che sarebbero arrivati (….) è diventata ora una cartolina inquietante da un domani post-traumatico – si legge nell’articolo -. Nelle piccole città dove tutti si conoscono tra loro, c’è una sorta di apprensione per gli altri, ma ci sono anche la sindrome del sopravvissuto, i ripensamenti sulle scelte decisive e gli incubi su quegli ultimi desideri infranti».
C’è chi il Covid lo ha vissuto sulla propria pelle, è guarito ma ha perso uno o più familiari e, per timore di provare altro dolore, ha scelto di vivere in una composta e dignitosa solitudine. Troppa la paura di incontrare altra gente e di stringerle la mano. C’è chi, al contrario, essendo uscito indenne dalla prima ondata pandemica ha il desiderio opposto, di tornare a vivere. Certo è che l’ampiezza e la virulenza con cui il coronavirus ha colpito in provincia e il comportamento sempre prudente dei bergamaschi hanno consentito a Bergamo di essere una sorta di isola felice in questo secondo lockdown soft autunnale. C’è anche chi si è trovato davanti a scelte cui nessuno vorrebbe mai essere sottoposto. Non soltanto i medici, ma anche comuni cittadini si sono trovati a dover decidere chi salvare, scegliendo a quale familiare donare l’unica bombola di ossigeno che erano riusciti a recuperare in farmacia in un periodo in cui di bombole non se ne trovavano.
Al dolore e alla paura si somma poi la rabbia di quei pazienti che a causa della seconda ondata dei contagi si sono visti annullare gli appuntamenti per visite mediche legate ad altre patologie. Con la conseguenza che i livelli di mortalità di molte patologie per le quali una diagnosi precoce e la prevenzione sono fondamentali, come il cancro, rischiano di aumentare nel prossimo futuro.