Il papà di Matteo Ferrari dopo la sentenza sulla tragedia di Azzano: «Non gioisco»
La Corte d'appello ha riformato la sentenza di primo grado e condannato Scapin a 11 anni e otto mesi. Il padre di una delle vittime: «La verità è importante»
di Maria Teresa Birolini
«A mio avviso la corresponsabilità morale di ciò che accadde la notte tra il 3 e 4 agosto 2019 ad Azzano, e che portò alla morte di mio figlio Matteo e del suo amico Luca Carissimi è della fidanzata di Matteo Scapin».
Alessio Ferrari non ha mai smesso di pensare alla tragedia che gli ha portato via il figlio di 18 anni. All’indomani del processo d’appello a Brescia commenta la sentenza. La Corte ha riformato in maniera netta le decisioni prese dai giudici di primo grado a Bergamo. L’accusato, Matteo Scapin, quella notte conduceva l’automobile che investì i due ragazzi in moto all’uscita della discoteca Setai, lungo la Cremasca ad Azzano San Paolo. I giudici di primo grado lo avevano condannato per omicidio stradale aggravato dalla guida in stato di ebbrezza e dalla fuga, a sei anni e otto mesi di reclusione. Ora, i giudici d’appello hanno ribaltato quella sentenza condannando Scapin per duplice omicidio volontario, con la attenuante generica della provocazione, a undici anni e quattro mesi; altri quattro mesi gli sono stati inflitti per la guida in stato di ebbrezza.
La Procura generale, in realtà, aveva chiesto una condanna a sedici anni e quattro mesi, sempre per omicidio volontario. Da parte della difesa si è continuato a sostenere la tesi dell’omicidio stradale. Ma la Corte ha ritenuto che lo Scapin avesse avuto l’intenzione di investire i due giovani volutamente.
Perché ritiene la ex fidanzata corresponsabile di questa tragedia, da punto di vista morale?
«Perché quella sera, nella discoteca, era - secondo quanto emerso dagli atti processuali - agitata, nervosa, se la prese anche con le guardie del corpo. Il suo fidanzato, allora trentatreenne, l’aveva portata in quel locale, perché proprio quella sera, la sua ex ragazza, festeggiava il compleanno».
Perché era infastidita, perché era nervosa?
«Io questo non lo so, ma è certo che volesse attirare l’attenzione. I testimoni raccontano che, a un certo punto, iniziò a urlare che Luca le aveva toccato il sedere, ma, sempre secondo i testimoni, Luca non si era avvicinato».
Che tipo era Luca?
«Un ragazzo allegro, era venuto con noi al mare, lo conoscevo bene. Aveva un solo chiodo fisso: il pallone. Il tipo che nemmeno si accorge se una ragazza lo guarda, di quelli che gli bastano gli amici, l’oratorio e un campetto per tirare un pallone in porta. Proprio non ce lo vedo a fare una cosa del genere».
Quello è stato l’episodio scatenante?
«Sì, perché lei insisteva. La coppia cominciò a discutere e poi se ne andarono».
E poi cosa successe?
«Lo Scapin stava per salire sulla Mini e vide Luca che insieme a Matteo usciva dal locale e decise di tornare indietro. Inveì contro Luca, si strattonarono. Un manipolo di curiosi, una decina al massimo di persone li osservò senza intervenire. La cosa sembrò finire lì».
Invece?
«Fu l’inizio del baratro. Lo hanno visto con i loro occhi anche i giudici della Corte d’Appello che venerdì 14 maggio quando il Procuratore di Bergamo, Teresa Granito, ha fatto una richiesta perentoria: “Accendete il filmato che la Polizia Stradale ha fornito e che riprende quanto accaduto la notte in cui sono morti Luca e Matteo”. A quel punto sono uscito dall’aula, non volevo rivedere quel filmato».
Che cosa si vede?
«Il filmato mostra Luca e Matteo che partono in scooter e subito dietro la Mini dello Scapin che li segue. Si fermano al semaforo, Matteo con il casco in mano colpisce il lunotto dell’auto e lo frantuma. Ripartono, lo Scapin li insegue, li sperona e per nove metri vengono trascinati. I due giovani restano a terra mentre la Mini si allontana».