E la chiamano "accoglienza diffusa"

Il punto sui migranti a Bergamo (salvando le poltrone dei sindaci)

Il punto sui migranti a Bergamo (salvando le poltrone dei sindaci)
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La chiamano “accoglienza diffusa” ma per carità, è solo per modo di dire. Il Protocollo firmato martedì scorso in Provincia impegna infatti solo 22 Comuni bergamaschi su 242. Mica tanti. La stragrande maggioranza, insomma, se ne infischia dell'emergenza profughi. Accogliamoli e teneteveli voi, in buona sostanza. Sarà dunque solo Bergamo, seguito a ruota da pochi altri (tra cui Alzano, Dalmine, Ponteranica, San Paolo d'Argon), a farsi carico del progetto che prevede di bussare ai privati per chiedere di mettere a disposizione dei migranti gli appartamenti vuoti (dietro pagamento dell'affitto, mica gratis), con l'obiettivo di integrarli nel territorio, svuotando al tempo stesso quelle strutture collettive che a lungo andare rischiano di trasformarsi in alienanti mondi a parte. Secondo la Cisl, solo a Bergamo, ci sono 200 alloggi sfitti che si presterebbero allo scopo. La strada sembra quella dunque giusta, perché mica si può tenere per sempre questa gente tra parentesi. Avranno pure il diritto di provare ad inserirsi nel Paese che li ha ricevuti. Senza contare che i proprietari degli immobili avrebbero il loro tornaconto, in un periodo che resta di vacche magre. Sembrava una soluzione buona per tutti.

Invece la massa dei sindaci ha preferito tirarsi indietro, perché non si sa mai. Se era scontata l'assenza dei leghisti, da sempre sulle barricate contro gli arrivi dei migranti, era meno atteso il disimpegno di alcune giunte di centrodestra (di ispirazione cattolica) e soprattutto di centrosinistra. Vista l'aria che tira quasi nessuno ha voglia di esporsi, con il rischio di indispettire gli elettori. L'allarme terrorismo, che alimenta le psicosi, non aiuta. Alla fine conta la poltrona, più che la solidarietà. E il sindaco Giorgio Gori, quando insiste sulla necessità di sistemare i profughi in alloggi veri e propri, rischia di rimanere una voce che predica nel deserto, o quasi. Lui, per la verità, non perde l'ottimismo: altri sindaci firmeranno, vedrete. Ma è la speranza di un inguaribile ottimista.

 

profughi a bergamo

 

La situazione. In provincia, ci sono attualmente 1309 rifugiati. A oggi, 1006 risultano richiedenti asilo: 7 donne e 999 uomini. Gli altri sono già stati inseriti nella rete Sprar, ovvero il percorso tracciato per integrare chi ha ottenuto l'agognato permesso di rimanere in Italia. Per il momento i profughi restano in gran parte sulle spalle della Diocesi, che li ospita in una trentina di strutture collocate a macchia di leopardo sul territorio provinciale. Una rete di accoglienza laica in pratica non esiste. A Bergamo ci sono circa 240 migranti, ma la maggior parte è stata collocata lontano dalla città. Alcuni sono stati spediti in alta valle. Lontano dagli occhi, lontano dalle polemiche. Che poi alla fine montano e si sgonfiano a qualsiasi altitudine. Trenta persone sono salite a Roncobello dove gli abitanti, dopo la rivolta iniziale, si sono placati. Venticinque vivacchiano a Rovetta, dove invece gli animi sono sempre piuttosto caldi. Tra Castione della Presolana e Rovetta ce ne sono altre 80: in estate c'erano stati persino blocchi stradali per fermare lo straniero, ora le barricate sono sparite e i profughi si sono messi addirittura ad insegnare inglese ai valligiani. A Rovetta invece hanno iniziato a ripulire il paese. Gli esempi di volontariato d'altronde non mancano, a Bergamo lo scorso inverno gli africani presero il badile per spalare la neve e anche quest'anno sono pronti a fare altrettanto. Ma la buona volontà dei migranti non intenerisce i cuori di chi si sente “padrone a casa sua”.

 

profughi corsi di lingua

 

Accoglienza clandestina. E pensare che, come dice la Cisl, la nostra provincia ha già una bella tradizione di accoglienza diffusa. Peccato che sia, in molti casi, clandestina. Se si tratta di reclutare colf e badanti infatti le porte sono sempre aperte. «Certo, le famiglie bergamasche partono da un loro bisogno – riflette con amarezza Mimma Pelleriti, responsabile delle politiche di integrazione del sindacato – ma hanno un controllo diretto sulla persona. E sono soprattutto donne a svolgere questo lavoro di cura. Ma parliamo sempre di persone che arrivano e vengono utilizzate anche senza permesso di soggiorno. Questo fa molto interrogare su come la società civile vive il rapporto con lo straniero». Meditate, gente, meditate.

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