Rsa di Alzano "sigillata" dal 23 febbraio: anticipate le linee guida, scelte di buon senso
Giulia Madaschi: struttura chiusa per parenti ed esterni. Ingressi solo in casi eccezionali, con protezioni. Nonostante tutto, 20 decessi tra i 98 ospiti, l’anno scorso 5. Anche alcuni familiari sono morti, nessun operatore con sintomi gravi
di Federico Rota
Tra le strutture che stanno pagando tuttora il prezzo più alto di questa emergenza sanitaria ci sono le Rsa della Bergamasca, luoghi che sono stati letteralmente falcidiati dal coronavirus. Alcune stime parlano di circa 600 ospiti deceduti in provincia ma, con ogni probabilità, anche questo bilancio parziale rischia di aggravarsi ulteriormente.
In questo quadro a tinte fosche però, la Rsa Fondazione Martino Zanchi è stata in grado di reagire prontamente applicando provvedimenti ferrei; in particolare, chiudendo l’accesso alla struttura per i familiari e i visitatori già da domenica 23 febbraio, giorno in cui si sono accertati i primi casi di Covid-19, anticipando le linee guida stabilite da decreti e delibere. «Alle 15.30 avevamo già chiuso la casa di riposo a tutti gli esterni e quei pochi parenti che c’erano sono stati invitati a uscire - racconta la dottoressa Giulia Madaschi, responsabile generale della Rsa -. In quel momento non avevamo ricevuto indicazioni in merito e a guidarci nella scelta è stato il buon senso. Inoltre, abbiamo cercato di evitare assembramenti degli ospiti, per quanto ci era concesso dai nostri spazi e sospeso le attività socio-sanitarie previste per grandi gruppi. Ridurre il numero dei contatti, usare i Dpi e mettere in isolamento è la prassi nel caso di diffusione di una malattia infettiva».
«La parte più difficile è stata far capire ai parenti la necessità di dover sigillare la struttura, soprattutto nei primi giorni - spiega la dottoressa Madaschi -. L’indicazione generica era di consentire l’accesso di una persona per ogni ospite per un tempo massimo di circa 10 minuti, evitando assembramenti, ma nei giorni successivi non abbiamo mai applicato questo protocollo perché ci sembrava fosse ancora prematuro, visto che iniziavamo ad avere anche i primi ospiti con i sintomi similinfluenzali. Qualche parente in buona fede ha cercato di vedere i suoi cari, presentandosi con mascherine recuperate in giro. Le prime settimane siamo stati sommersi dalle telefonate. Capivamo lo stato d’animo, è stato faticoso spiegare che ci sentivamo più sicuri a ridurre tutti i contatti perché non sapevamo chi era infetto e chi no. Abbiamo concesso in casi eccezionali ai familiari di quegli ospiti le cui condizioni di salute si erano aggravate di poter entrare facendo compilare un registro e dotandoli di tutti i dispositivi di protezione, come è stato indicato finalmente in maniera chiara nella nuova delibera del 30 marzo».
Tuttavia, nonostante le precauzioni prese per tempo, anche in questa struttura si è verificato un aumento delle vittime rispetto agli anni passati. «Dal 2 al 23 di marzo abbiamo contato 20 decessi tra i nostri 98 ospiti - prosegue -. Nello stesso periodo l’anno scorso erano stati 5 e, in passato, avevamo avuto oscillazioni con un picco di 13 decessi. Certo è che abbiamo registrato un deciso aumento nel numero delle febbri e delle sintomatologie potenzialmente correlate al virus, ma non essendo stati fatti tamponi non siamo in grado di dire né se si sia verificato effettivamente, né da dove possa essere arrivato eventualmente il contagio, sono dati impossibili da scindere. Ci sono parenti che frequentavano sistematicamente la struttura e alcuni, purtroppo, abbiamo saputo che sono deceduti. Fortunatamente, fino ad oggi, nessuno dei nostri operatori ha manifestato sintomi gravi».