L'acceso dibattito

Il referendum sulle trivellazioni (dopo il guaio di Tempa Rossa)

Il referendum sulle trivellazioni (dopo il guaio di Tempa Rossa)
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Doveva essere un referendum da carta straccia: poca attenzione, professori arrabbiati per la perdita di giorno di scuola a fine anno, quorum neanche sfiorato, tra i 300 e i 400 milioni (questo il costo della consultazione) buttati via. Invece passo per passo la strana consultazione del 17 aprile è decollata, per importanza e per interesse. I motivi sono molteplici, e non solo l’ultimo, abbastanza clamoroso, che ha visto un ministro, Federica Guidi, dimettersi, e un altro, Maria Elena Boschi, vacillare: l’inchiesta su Tempa Rossa, il pozzo petrolifero nel cuore della Lucania. In realtà le acque intorno al referendum si erano agitate anche prima, per un motivo semplice:  le opposizioni ne hanno visto una buona opportunità per lanciare un segnale all’uomo solo al comando, Matteo Renzi.

 

 

Per cosa si vota. Infatti mentre la linea sviluppista del governo è compattamente schierata per il no, all’interno del Pd la minoranza ha trovato nelle trivelle un buon motivo per tornare ad alzare la voce. Ma veniamo innanzitutto all’oggetto. Per cosa si voterà esattamente domenica prossima? L’oggetto del referendum sono solo le trivellazioni effettuate entro le 12 miglia marine (vale a dire circa venti chilometri). Non sono quindi la maggior parte delle trivellazioni in acque italiane, complessivamente 66 e collocate oltre le 12 miglia, e dunque fuori dal referendum. Quelle localizzate entro le 12 miglia son in tutto 21. Il referendum non riguarda neanche possibili nuove trivellazioni entro le 12 miglia che sono già vietate per legge. Si decide il destino di 21 trivellazioni già esistenti e in funzione nel nostro mare, entro le 12 miglia. Oggi queste concessioni hanno durata di 30 anni, prorogabili di altri 10. Vincesse il Sì al referendum, entro 5 - massimo dieci - anni dovrebbero invece staccare la spina. Oggi le 21 trivelle off shore estraggono gas metano, coprendo il 10 percento del fabbisogno e dando lavoro a circa 40mila persone (cifre del comitato per il No).

 

 

L'acceso dibattito. Un referendum che tocca nel vivo solo alcune Regioni italiane, e che è estraneo allo sguardo di alcune tra le Regioni più popolose (Lombardia, Piemonte, Lazio, per esempio). Ma la polemica politica e la cronaca alla fine stanno infiammando anche l’attenzione di chi non è toccato dalla questione. A mettere sale sul dibattito prima ci ha pensato la chiesa: quasi tutti i vescovi delle diocesi costiere sono usciti pubblicamente per il Sì. Creando anche un qualche imbarazzo ai vertici della Cei, perché la cosa è stata letta come un segnale della chiesa al premier Renzi. Così il segretario Nunzio Galantino si è trovato a dover sfumare un po’ i toni, su una questione che era stata messa in diretta relazione con i contenuti dell’Enciclica ambientalista del Papa.

Poi è arrivata la bomba dell’inchiesta di Potenza, che ha alzato mille dubbi sull’impatto che le trivellazioni hanno sull’ambiente. E ha fatto passare l’idea di una grande lobby che controlla la politica energetica in Italia, come ha lasciato intendere il governatore della Toscana, Enrico Rossi, che nel Pd è oppositore di Renzi, e che ha detto di votare No, ma esternando tanti dubbi. Renzi da parte sua tira dritto, e, come nel suo stile, punta a vincere tutta la posta: referendum con quorum superato, ma con i No sopra i Sì.

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