Il saluto dei Reds a Steve Gerrard

«When I die, don’t bring me to the hospital. Bring me to Anfield. I was born there and I will die there». Non servirebbe altro probabilmente per omaggiare e descrivere la carriera in “rosso” di uno dei giocatori più forti della storia del calcio britannico come Steven Gerrard. Stevie G, una vita a difendere, ad amare e a far vincere i Reds del Liverpool, rapporto che professionalmente si chiuderà il prossimo 1 luglio, quando Gerrard volerà in California per giocare con i Los Angeles Galaxy, ma che moralmente resterà incastonato nella leggenda. E sabato, durante il match contro il Crystal Palace, è arrivato il momento forse più emozionante dei 28 anni di Gerrard a Liverpool: l’abbraccio di Anfield Road al suo paladino. Proprio Anfield, il terreno che, dopo tante certezze, lo aveva visto protagonista di una goffa scivolata con la quale il Chelsea aveva violato il tempio dei Reds, spingendo la Premier verso Manchester (sponda City), privando il Liverpool di un titolo che mancava, e manca, dal 1990. Il paradigma della vita del Liverpool che non è avvezzo alle vittorie “fatte bene”, ma per arrivarci deve complicare tutto migliaia di volte, per gustarsele ancora di più.
Il cugino, morto a Hillsborough. E il suo capitano è l’emblema di cosa significhi essere un Reds. Già perché c’è un momento preciso in cui Gerrard ha deciso di diventare un giocatore del Liverpool: il 15 aprile 1989, non un giorno di gioia per il calcio inglese. Infatti tra le vittime della strage di Hillsbourogh, nella quale persero la vita 96 persone sulle tribune dello stadio di Sheffield, lì in attesa della semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest, c’era anche un ragazzino di 10 anni Jon-Paul Gilhooley, il cugino di Gerrard. Lo stesso Steven, all’inizio della sua autobiografia, scrive che «è stata dura quando ho saputo che uno dei miei cugini aveva perso la vita, vedere la reazione della sua famiglia mi ha spinto a diventare il giocatore che sono». Nasce così da quel momento la storia di uno di quei giocatori che passano una volta ogni tanto nella storia del calcio, affezionato alla maglia della sua squadra tanto da non essere attratto dai dollari del Chelsea (che nel 2005 sognava di averlo convinto a trasferirsi a Stamford Bridge), beffato proprio da quel destino (fattosi vivo nelle sembianze di Demba Ba) che gli aveva concesso di segnare in entrambe le finali europee vinte con i Reds (prima in Coppa UEFA e poi in Champions League), ma sempre figlio di un’unica maglia e di un unico luogo. Quello stadio, o quel mausoleo per dirla con le parole di Stevie, che sabato lo ha omaggiato con inni e coreografie da brividi (tutti i compagni indossavano la numero 8 di Gerrard). Il senso di tutto è semplice da raccontare ad un Reds, perché è il modo più vero con cui nasce e cresce un tifoso del Liverpool, ed è tutto racchiuso nelle parole dell’inno del club “You’ll never walk alone”. «Con la speranza nel cuore non camminerai mai da solo», Stevie G.
https://youtu.be/93-nwrbr7J0
L'esordio nel 1998. Gerrard ha iniziato la sua carriera al Liverpool partendo dalle giovanili nel 1987, ed ha esordito in prima squadra nel 1998 sotto la guida del francese Houllier. È diventato capitano dei Reds nel 2003, ereditando la fascia dal finlandese Hyppia, ed ha collezionato 709 presenze e 185 reti in 17 anni di carriera, a queste si aggiungono i 114 gettoni e le 21 segnature con la Nazionale inglese, della quale è stato capitano dal 2012 al 2014 quando ha lasciato. Ha avuto 6 allenatori a Liverpool e 8 in Nazionale. In patria il suo palmarès vanta 2 Coppe d’Inghilterra, 3 Coppe di Lega inglese e 2 Community Shield, mentre a livello internazionale, alla Coppa UEFA 2000-2001 ed alla Champions League 2004-2005, vanno aggiunte le Supercoppe Europee 2001 e 2005. La Champions del 2005, vinta a spese del Milan nell’incredibile finale dell’Ataturk di Istanbul, è il capolavoro sportivo di Gerrard che segnò la rete decisiva per la qualificazione dei Reds nel girone contro l’Olympiakos, il gol della rimonta e si procurò il rigore del definitivo 3-3 nella finale contro i rossoneri. Al termine della competizione venne premiato come MVP della Champions e miglior giocatore della finale.