Triste elenco del Made in Italy finito in mani straniere
Venerdì 11 luglio 2014 Whirpool ha acquisito il 60,4 percento del capitale della Indesit, storica azienda di elettrodomestici italiana. L’ufficialità è arrivata con un comunicato sottoscritto sia dall’azienda americana che dalla holding Fineldo, della famiglia Merloni, detentrice delle azioni cedute. Il prezzo d’acquisto si aggira sui 758 milioni di dollari, ovvero 11 dollari per azione. La Whirpool ha così acquisito il 66,8 percento dei diritti di voto interni all’azienda e per le restanti azioni lancerà un’offerta pubblica di acquisto che dovrebbe portare, per la fine del 2014, all’acquisizione totale della Indesit. La reazione del mercato borsistico è stata buona, con il titolo schizzato a +3,5 percento nell’immediatezza dell’annuncio e si è poi assestato sul +2,9 percento.Whirpool – ha spiegato Marc Bitzer, presidente dell’area europea - ha deciso di investire sullo storico marchio italiano per creare una sempre più solida società nel mercato del vecchio continente. La banca d’affari Goldman Sachs, incaricata di trovare dei compratori, aveva messo in contatto i vertici Indesit anche con la svedese Electrolux e i cinesi della Sichuan, i quali sarebbero stati forse i compratori più generosi (si parlava di 17 dollari per azioni), ma alla fine il progetto che più ha convinto, anche per quanto riguarda le garanzie occupazionali, è stato quello degli americani. Scettici e guardinghi i sindacati, dopo che nel dicembre 2013 avevano sottoscritto il piano industriale della Indesit e che vorrebbero ora rassicurazioni circa la sua conferma.
ITALIA IN SALDO? Indesit è solo l’ultimo prestigioso marchio dell’industria italiana a finire in mani straniere. Spagnoli, francesi e americani, ma anche cinesi, russi, turchi e arabi: i grandi marchi del Belpaese continuano a fare gola ai grandi investitori stranieri. Coldiretti ha calcolato che con questa operazione, nel solo 2014, gli stranieri hanno fatto «shopping» in Italia per circa 2 miliardi di euro. I primi esempi di acquisizioni straniere risalgono agli Anni ’70, quando gli Stati Uniti comperavano le nostre eccellenze per studiarle e farle proprie. Con il passare del tempo alle grandi holding americane e europee si sono aggiunti nuovi ‘player’ provenienti da Oriente: dalla Cina al Qatar, dalla Corea all’India. E con la crisi le cessioni hanno registrato un'accelerazione. Fra il 2008 e il 2012, secondo un’analisi di Kpmg, le aziende del Made in Italy passate a holding estere sono state 437. Ora siamo circa a quota 500. Ricordiamo le ultime operazioni e i principali marchi ceduti.
MODA E LUSSO. In primavera c’è stato il passaggio della maison di moda Krizia (della bergamasca Mariuccia Mandelli) al gruppo cinese Shenzen Marisfrolg Fashion, azienda attiva nel mercato asiatico del pret-a-porter di fascia alta, fondata nel 1993 da Zhu ChongYun, ora presidente e direttore creativo della casa di moda milanese. Nei piani della società cinese c’è l’espansione verso i mercati asiatici e americani del brand Krizia. Dopo pochi giorni, al termine di un corteggiamento durato mesi, Versace ha invece aperto le porte al fondo Usa Blackstone, che si è aggiudicato il 20% della casa di moda.
Il primo colpo grosso del 2014, chiuso già in febbraio, è stata la cessione di Poltrona Frau alla statunitense Haworth, presieduta da un italiano, Franco Bianchi, che ha acquisito il controllo del marchio con il 58,6% del capitale. Il 51,3% è stato ceduto da Charme (facente capo a Luca Cordero di Montezemolo) e il restante 7,3% da Moschini.
A luglio dell’anno scorso la holding francese Luis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh) ha rilevato l’80% della griffe del cachemire Loro Piana. L’azienda si è così trovata in buona compagnia con marchi importanti come Bulgari, Fendi, Acqua di Parma e Pucci. Loro Piana è stata valutata 2,7 miliardi, con la Lvmh che ha pagato 2 miliardi per accaparrarsi l’80% del pacchetto aziendale. Sergio e Pier Luigi Loro Piana hanno mantenuto la loro posizione alla guida dell’azienda di famiglia, con il 20% della proprietà.
Gucci e Pomellato sono invece da tempo sotto il controllo di Kering, ex Ppr, antagonista storico di Lvmh che fa capo alla famiglia di François Henri Pinault, leader della distribuzione di marchi come Fnac e Puma che controlla anche Dodo, Bottega Veneta, Brioni e Sergio Rossi.
La casa di moda Valentino il 12 luglio 2012 viene venduta, insieme al marchio M Missoni, alla società Mayhoola for Investments dal Qatar. Fiorucci, già dal ’90 è stata acquistata dalla giapponese Edwin International.
Tutte queste acquisizioni non sono casuali, perché il settore del lusso, anche in periodo di crisi, è quello che fa registrare i dati di vendita più alti.
SETTORE ALIMENTARE. Altro settore ambìto dalle multinazionali è quello alimentare. Tra i principali acquirenti l’anglo-olandese Unilever, proprietaria dell’Algida, della Bertolli (poi ceduta alla spagnola Sos Cuetara che già controlla Carapelli e Sasso), delle confetture Santa Rosa e del Riso Flora. La francese Lactalis ha acquistato Parmalat e i marchi Galbani e Invernizzi, Cademartori, Locatelli e Président; la Nestlé è proprietaria di Buitoni e Sanpellegrino, Perugina, Motta, Antica Gelateria del Corso, Vismara e la Valle degli Orti; i sudafricani di SABMiller hanno acquisito la birra Peroni; l’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard, ha comprato Gancia; i pelati AR Industrie sono finiti addirittura nelle mani di una controllata dalla giapponese Mitsubishi. Tutto questo senza citare i marchi di grande distribuzione come Auchan e Carrefour. E ancora: l’americana Kraft ha rilevato il Gruppo Fini, i marchi Simmenthal, Splendid e Saiwa. il Gruppo Agroalimen di Barcellona è salito al 75% nella proprietà di Star e la Fiorucci salumi è stata acquisita dalla Campofrio food holding.
Nel 2013 per la prima volta ha preso la via dell’oriente anche un vino del Chianti, l’azienda agricola Casanova - La Ripintura di Greve in Chianti, nel cuore della Docg del Gallo Nero, passata a un imprenditore cinese della farmaceutica di Hong Kong.
Caso recente è anche quello dei cioccolatini Pernigotti, eccellenza mondiale nel settore dolciario e azienda storica con oltre 150 anni di attività, ceduta dai Fratelli Averna ai turchi Toksoz di Istanbul (con un fatturato annuo di circa 450 milioni di euro). Destinazione Spagna per l’antico Pastificio Lucio Garofalo, che all’inizio di giugno 2014 ha ceduto il 52% a Ebro Foods, entrato nel capitale del leader italiano nella produzione di pasta premium con 62 milioni di euro. Ebro possiede anche oltre il 25% di Riso Scotti. Rilevata invece dai coreani di Haiti Confectionery and Foods la storica gelateria romana Fassi mentre lo scorso anno sempre la LVMH ha acquisito la partecipazione di maggioranza della altrettanto storica pasticceria confetteria Cova di Milano.
ALTRE GRANDI AZIENDE. Gli emiratini di Etihad aspettano di chiudere l’accordo per portarsi a casa (e salvare) il 49% dell’ex compagnia di bandiera Alitalia. L’accordo è sempre più vicino: la compagnia di Abu Dhabi investirà oltre 560 milioni di euro per entrare nel capitale del gruppo.
Nel 2013 aveva destato scalpore la cessione di Telecom, il principale gruppo italiano di telecomunicazioni, in mani spagnole dopo l’accordo tra Telefonica e le banche italiane azioniste, che le consente di salire al 66% di Telco, holding che controlla il 22,4% di Telecom Italia. Non è solo questione di percentuali azionarie, perché la Telco nomina anche la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione Telecom.
Curioso il destino della Ducati, una delle case motociclistiche più famose del mondo, ceduta nel 1996 al fondo di investimento Texan Pacific Group, tornata italiana nel 2005, ma di nuovo venduta sette anni dopo alla società Audi Ag, del gruppo tedesco Volkswagen, che possiede anche il marchio automobilistico Lamborghini.
Risultati positivi. Se la vendita dei marchi del Made in Italy alle holding straniere può essere vista come una svendita di assets strategici a discapito dell’economia nazionale, non sempre lo stesso discorso vale per l’azienda stessa. Secondo un’indagine di Prometeia, dalla fine degli anni Novanta ad oggi le imprese acquistate da gruppi stranieri hanno ottenuto performance positive. Questo significa crescita del fatturato (2,8% l’anno), dell’occupazione (2%, anche in territorio italiano) e della produttività (1,4%). La ricerca conclude che, sebbene siano state vendute a proprietà straniere, le grandi aziende italiane continuano ad essere percepite come Made in Italy.