Un'indagine scientifica

Inquinamento e clima ballerino sono un disastro per gli allergici

Inquinamento e clima ballerino sono un disastro per gli allergici
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Saremo invasi da pollini che cresceranno all’impazzata, fino al 200 percento in più. Aspettiamocelo entro i prossimi 100 anni, per la complicità dei cambiamenti climatici repentini e soprattutto per l’innalzamento dei livelli di anidride carbonica, o CO2 che dir si voglia, e ozono. A vedersela brutta saranno gli asmatici e chi soffre di allergie respiratorie, quindi il 20 percento della popolazione mondiale, sempre più dipendente in futuro da fazzoletti, naso gocciolante e occhi rossi nella migliore delle ipotesi, e da pompette spray al cortisone o altro nella maggior parte dei casi. A fare questa previsione poco confortante è uno studio dell'Università americana del Massachusetts, pubblicato sulla rivista PlosOne, che ha descritto cause, effetti e implicazioni del fenomeno, specie l’impatto significativo sulla salute umana a livello mondiale.

La produzione di polline. È come un exit poll: una previsione a lungo termine. Nata al momento da uno studio di laboratorio che ha però mimato le condizioni ambientali e i livelli di gas nell’aria presenti e futuri, prendendo in considerazione alcune piante che sono oggi causa delle maggiori o delle più diffuse allergie respiratorie. Tutto sistemato in modo che le ipotesi possano essere quanto più veritiere e attendibili possibili. Protagonista della ricerca il fleo (Phleum pratense, il suo nome botanico scientifico), una pianta graminacea, che è stata fatta crescere in un ambiente con elevati livelli di ozono e anidride carbonica nell'aria, attuali e prospettici, studiando poi gli effetti della loro interazione.

 

 

È stato così possibile osservare che elevati livelli di anidride carbonica, i quali stimolano la crescita e la riproduzione delle piante, aumentano la produzione di polline di ogni fiore del 53 percento qualunque sia il livello di ozono. Al contrario elevati livelli di ozono, che contrasta la crescita delle piante, riducono la percentuale di allergene ma la forte stimolazione di polline prodotta dall'anidride carbonica aumenta l'esposizione complessiva all'allergene, in presenza di elevati livelli di entrambi i gas. Quindi un circolo vizioso e una ecatombe per l’aria, i nasi e non solo.

La stagionalità. Pare poi che non ci sia più stagione che tenga contro le allergie. Sarebbe infatti errato pensare che esse esistano o siano all’apice solo in primavera, per via delle impollinazioni e inflorescenze insomma, e che diminuiscano con l’inverno. Anzi, (forse) è tutto il contrario: perché esponendosi meno ai raggi solari, si riduce il benefico effetto anti allergico della vitamina D. Un recente studio dal titolo La cultura pneumologica nelle dinamiche italiane ed europee, che ha visto la partecipazione di 18 centri nazionali e il coinvolgimento di oltre 300 pazienti, di cui quasi il 60 percento donne di età compresa fra 16 e 86 anni con allergie respiratorie ed eventuale presenza di manifestazioni cutanee, avrebbe dimostrato come la vitamina D svolga anche un'azione ormonale, intervenendo in particolare nella modulazione della risposta immunitaria innata o adattiva dell'organismo, compresi la sensibilizzazione allergica e lo sviluppo di alcune malattie di natura autoimmune, spesso scaturite da un basso apporto di luce.

 

 

In poche parole, si direbbe che esiste una relazione significativa tra bassi livelli di vitamina D, la sensibilizzazione ad allergeni perenni e l’insorgenza di alterazioni del sistema immunitario: una combinazione di fattori che possono clinicamente portare allo sviluppo di dermatite atopica (una malattia della cute) la quale, di solito, è l’anticamera di altre forme allergiche e respiratorie, appunto, come rinite, asma e, dulcis in fundo, anche di allergie alimentari.

Apriamo gli occhi, quindi. Perché, nonostante lo studio americano faccia sapere che buoni livelli di ozono possono consentire una riduzione della pericolosità degli allergeni, dall’altro lato mette in guardia avvertendo che sarà sempre necessario diminuire di molto la presenza di anidride carbonica nell'atmosfera perché questa annulla qualsiasi effetto benefico. E i principali imputati di questo patatrac sono sempre loro: i combustibili fossili e una loro eccessiva produzione per l'energia.

Tanto che il livello di anidride carbonica attualmente presente nell’atmosfera è maggiore rispetto a qualsiasi altro momento storico degli ultimi 800 mila anni (che non sono proprio una inezia di tempo). Giusto per dare qualche numero: nel 1880, la presenza di CO nell’aria era pari a 285 parti per milione; nel 1960, la sua concentrazione, misurata dal National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) a Mauna Loa nelle Hawaii, era di circa 315 parti per milione. Poi con gli anni i livelli sono andati sempre più a salire fino a superare, lo scorso anno, 400 parti per milione. Altro che respirare, qui si boccheggia. Ma non in senso buono.

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