Il Califfo vuole assetare l'Iraq

Morire di sete. È questo l’incubo per migliaia di persone che vivono a est della città di Ramadi in Iraq, nella provincia irachena di Anbar, conquistata lo scorso 17 maggio. A rischiare maggiormente sono le popolazioni che vivono nei pressi di Habbaniya e Khaldiya, centri minori sulla strada per Baghdad. I miliziani dell’Isis hanno infatti chiuso 23 dei 26 cancelli idrici della diga di Ramadi, e ora tutta la zona rischia di essere investita da una tragedia umanitaria di proporzioni enormi. L’obiettivo degli jihadisti è Baghdad, e un metodo per aprirsi la strada verso la capitale è utilizzare la potentissima arma della mancanza di acqua, prosciugando di fatto il fiume Eufrate.
Il livello del fiume sempre più basso. A riferire della quasi totale chiusura della diga di Ramadi (i tre “rubinetti” aperti erogano acqua solo per alcune ore al giorno) è la tv panaraba Al Arabiya, e il governatore di Anbar, Sabah Karhut, ha confermato il drastico abbassamento del livello del fiume. Il basso livello delle acque faciliterebbe la preparazione di nuovi attacchi, mediante l’attraversamento dell’Eufrate da riva a riva, o rendendo più agevole l'accesso ad alcune zone. Anche Aoun Dhiyab, ex capo del dipartimento iracheno per le Risorse idriche, ha sottolineato che «l'obiettivo dell'Isis non è tagliare l'acqua, ma ridurre il livello del fiume, per sfruttarlo a fini militari. Quando il livello dell'acqua è ridotto, consente loro di infiltrarsi da Ramadi a Khaldiyah e poi raggiungere facilmente le altre zone». Ormai è possibile attraversare il fiume anche a piedi. In ogni caso la conseguenza più logica per le popolazioni è la tragedia umanitaria, viste anche le temperature che in questo periodo non scendono sotto i 45 gradi di giorno e i 30 di notte.




Mezzaluna non più fertile. Una crisi ancora più forte se si aggiunge che già da qualche anno gli esperti stanno ammonendo il mondo sul progressivo prosciugamento di quello che è considerato uno dei bacini idrici più importanti del Medio Oriente, che avanza a un ritmo preoccupante. Tra il 2003 e il 2010 la regione situata tra gli attuali Iran, Iraq, Siria e Turchia – che corrisponde grossomodo all'antica Mesopotamia – ha perso ben 144 chilometri cubi di acqua fresca. Una quantità pari al volume dell'intero Mar Morto. L’Eufrate, insieme al Tigri, costituisce quella che un tempo si chiamava Mezzaluna Fertile, una fascia di territorio resa florida e ospitale proprio dai due fiumi.
Le dighe sotto il controllo dell’Isis. Tra Siria e Iraq lungo l’Eufrate ci sono sei dighe. Di queste, cinque sono sotto il controllo dello Stato Islamico. L’unica a non essere stata ancora conquistata è quella di Samarra, gemella della diga di Ramadi ma sul fiume Tigri. Se cadesse in mano allo Stato Islamico, potrebbe essere utilizzata addirittura per inondare Baghdad.
La situazione nel nord. Intanto nel nord dell’Iraq, ad Hajiwa sarebbero in corso dei raid aerei. Non è ancora chiaro se questi sono stati condotti da jet iracheni o dagli aerei della Coalizione Internazionale a guida Usa. Finora le vittime sarebbero settanta: tra loro probabilmente anche molti civili.
I morti e il fallimento della Coalizione. Complessivamente, da quando la Coalizione ha cominciato i suoi raid per fermare l’avanzata dello Stato Islamico, sarebbero oltre diecimila i miliziani uccisi. Almeno così dicono i dati americani comunicati dal vice segretario di stato Usa, Antony Blinken, dopo l'incontro a Parigi dei ministri degli Esteri della Coalizione. Blinken ha poi affermato che ci sono stati molti progressi nella lotta contro i jihadisti, anche se il gruppo è rimasto flessibile e in grado di prendere l'iniziativa. Una dichiarazione roboante, che però non fa i conti con i numeri reali. Al Vertice di Parigi il premier iracheno Haider Al Abadi ha ribadito che «la cattura di Ramadi e Palmira da parte dello Stato islamico è stato un fallimento globale». In particolare a fallire, secondo Al Abadi, è stata la strategia “aerea”: il 75 percento delle missioni aeree si conclude senza lancio di ordigni per carenza di obiettivi, il che, spiegano al Pentagono, dipende dal fatto che l’Isis disperde le forze in unità molto ridotte, celandole fra i civili, comportandosi da “nemico ibrido” difficile da identificare ed eliminare per mancanza di informazioni di intelligence che potrebbero essere garantite solo da contingenti di truppe scelte sul terreno. Di fatto gli unici che stanno combattendo sul campo contro i miliziani del Califfo sono gli iracheni e le milizie sciite iraniane.