Li chiamano "cuccioli del Califfato"

Isis, la Little London siriana e le atrocità sui bambini yazidi

Isis, la Little London siriana e le atrocità sui bambini yazidi
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Nella galassia delle violenze perpetrate dai jihadisti dell’Isis a quanti vengono considerati infedeli e nei confronti dei cittadini delle città che controllano, un posto del tutto particolare è riservato ai bambini. Vittime innocenti di una violenza ingiustificata, che subiscono ogni genere di atrocità e in molti casi vengono utilizzati come merce. Se sono femmine sono destinate alla tratta delle schiave del sesso e vendute all’asta, se sono maschi sono destinati ai campi di addestramento per miliziani. E spesso capita che a farne le spese siano i figli di quanti si uniscono allo Stato Islamico dall’Europa.

 

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La Little London siriana. Manbij, città al confine con la Turchia, dove nell’ultimo anno hanno vissuto almeno 100 cittadini britannici è stata già ribattezzata la Little London siriana. Negli ultimi tempi la città è diventata una meta di pellegrinaggio per tutti i “foreign fighters” che dall'estero arrivano con le famiglie al seguito. Si stima che a partire dal 2011 siano 700 i foreign fighters transitati da Manbij, la metà dei quali ha fatto ritorno nel Regno Unito. A raccontare la storia di questa fino a ieri sconosciuta cittadina facente parte del governatorato di Aleppo, a mezz’ora di auto dal confine turco, ci ha pensato il quotidiano inglese Telegraph, che ha spiegato come a Manbij si concentri il maggior numero di combattenti stranieri di qualsiasi altra città siriana, perché qui sembra che i raid aerei della coalizione anti-Isis non siano ancora arrivati. I jihadisti e le loro famiglie non si mischiano con la popolazione locale: a loro lo Stato Islamico riserva appartamenti in periferia, il cui affitto viene pagato con gli stipendi che l’Isis elargisce. Soldi che arrivano dalle imposte pagate dai cittadini soggiogati delle città in loro possesso, dall’Iraq alla Siria.

 

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Isa, il volto giovane dell’Isis. A Manbij ha risieduto colui che è stato considerato la mente degli attacchi di Parigi, Abdelhamid Abaaoud; Manbij è stata visitata nel 2014 da Jihadi John, il boia dell’Isis. Ma da questa triste città arriva anche Isa Dare, probabilmente il più piccolo jiahdista del mondo. Il bambino, di soli sei anni, è diventato famoso perché protagonista di un video di propaganda diffuso dai fedeli al Califfo e la cui veridicità non è ancora stata dimostrata. Figlio di una donna inglese di origini nigeriane che ha lasciato Londra nel 2012 per unirsi allo Stato Islamico, Isa è apparso in uno degli ultimi video dell’Isis vestito da jihadista. Indica l'orizzonte e minaccia di morte gli infedeli. Il nonno, un tassista londinese, lo ha riconosciuto nel video e ha lanciato un appello perché il piccolo gli venisse riportato a casa. Perché secondo lui Isa è uno dei tanti bambini usati come scudo.

L’istruzione dei bambini. Che lo Stato Islamico faccia leva sull’istruzione per forgiare nuovi adepti è una triste verità. A Manbij i bambini dall’età di quattro anni vengono inseriti in classi diversificate per sesso, studiano l’arabo, la sharia, e le buone norme di comportamento del perfetto cittadino dello Stato Islamico. Dopo questo periodo di “training” teorico, quando i bambini compiono dieci anni, vengono arruolati nei campi di addestramento dei “cuccioli del Califfato”, dove vengono introdotti all’uso delle armi, a tagliare le gole ai prigionieri, a diventare kamikaze. Dai 15 anni in su possono assumere veri e propri ruoli nelle varie milizie e diventare jihadisti a tutti gli effetti.

C’è ragione di credere che Manbij non sia l’unica fucina dove alle giovani generazioni viene fatto un vero e proprio lavaggio del cervello. Tutte le città che devono sottostare alle leggi dettate dal Califfo sono più o meno in questa situazione. Qualcuno, però, riesce a fuggire. È il caso di alcuni bimbi di etnia yazidi che hanno raccontato le loro storie alla Cnn. Quando vengono catturati dai jihadisti, ai bambini dai cinque anni in su viene raccontato che l’Isis intende proteggerli, e che si prenderà cura di loro più dei genitori. Per questo vengono addestrati per ucciderli. Un racconto drammatico, che viene reso ancora più grave dalla testimonianza di un peshmerga curdo che combatte l’Isis sulla linea del fronte: «Molte volte, quando ci troviamo di fronte l'Isis, vediamo i bambini sulla linea del fronte che indossano giubbotti esplosivi e si lanciano verso di noi. Gli hanno fatto il lavaggio del cervello». Il dilemma, a quel punto è se sparargli, andargli incontro per salvarli o aspettare che loro si facciano saltare in aria perché «non sappiamo mai se quando si avvicinano sono davvero in fuga o sono stati mandati per uccidere. Molti nostri combattenti sono morti così. Si tratta di una decisione incredibilmente difficile, non sai cosa fare, perché se non li uccidi saranno loro a uccidere te».

 

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L’impatto psicologico. Che i bambini vengano arruolati e combattano o che riescano a fuggire, è innegabile che l’impatto psicologico su queste giovani vite sia devastante. Per quanti scappano e cercano di rifarsi una vita, riuscire a tornare alla normalità di un qualunque ragazzino è difficilissimo. Devono affrontare il trauma del distacco dai propri genitori naturali, la segregazione, il lavaggio del cervello, spesso la conversione all’islam, e il fatto di dover considerare le loro famiglie come infedeli e per questo nemiche.