Le notizie contrastanti

Kobane, i curdi allo stremo

Kobane, i curdi allo stremo
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I miliziani dell’Isis controllerebbero oltre il 40% e avrebbero occupato il quartier generale della resistenza curda. A riferirlo è l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, che ha riportato come in città ormai si stia combattendo casa per casa e in strada. Nel centro di Kobane sono rimasti ormai solo gli anziani. Migliaia di persone sono ammassate al confine con la Turchia in attesa di varcare quel confine che per ora rimane inesorabilmente chiuso ai profughi curdi. E proprio al confine con la Turchia i miliziani dell’Isis avrebbero bombardato un varco di frontiera, nel tentativo di prendere il totale controllo della città siriana e impedire che la gente possa entrare o uscire. Arriva intanto dall’Onu un appello a una sorda Turchia affinchè apra i confini: «Vogliamo lanciare un appello alle autorità turche affinché permettano ai rifugiati di entrare in città per sostenere autodifesa», ha detto l’inviato dell’Onu per la Siria Staffan De Mistura, che teme per Kobane il rischio di una nuova Srebrenica.

Di fronte a una situazione di grande emergenza umanitaria, e con il governo turco che ancora non dà l’ordine ai suoi tank schierati al confine di intervenire, anche la comunità internazionale non riesce a trovare risposte efficaci sul piano politico e militare. Gli aerei della coalizione nel pomeriggio hanno condotto altri due raid, ma i jihadisti non fermano la loro avanzata, seminando morte e distruzione. I raid che si sono intensificati negli ultimi due giorni e che sembrava avessero costretto i terroristi dell’isis a battere in ritirata, da soli non sono bastati a fermare i miliziani del califfo. I curdi, ormai allo stremo, chiedono che qualcuno aiuti quel che resta della popolazione di Kobane. Chiedono razzi anti-carro che possano fermare l'avanzata dei blindati dello Stato islamico, razziati durante le cavalcate estive nel nord dell'Iraq e nel nord-est siriano. I morti sarebbero oltre 500 e in totale i profughi oltre 300 mila, due terzi dei quali fuggiti in Turchia.

I curdi resistono, per la loro indipendenza. Una serie di notizie che si affastellano e si contraddicono, a dimostrazione di quanto sia nebuloso quello che sta accadendo in quella parte di Siria, ormai divenuta il simbolo della estrema difesa dell’identità curda. Kobane è la terza città della Rojava, regione autonoma curda in terra siriana, che rappresenta la realizzazione delle ambizioni di autonomia federale ultranazionale promosse dal leader cudo Abdullah Öcalan (oggi all’ergastolo in Turchia). Quella di Kobane sta diventando una guerra nella guerra, che oppone tra loro tre fazioni: l’Isis, la Turchia e i curdi, che a Kobane stanno arrivando da ogni parte della regione per combattere e difendere la loro indipendenza. Una Kobane che resiste, vista con occhi turchi, è simbolo di una realtà forte, che può vantare richieste alla comunità internazionale e rafforzare la componente curda in Turchia. Una Kobane che resiste, vista con occhi dell’Isis, è un ostacolo all’espansione del califfato.

La preoccupante idea di Erdogan. Per questo motivo, tra le richieste del presidente turco Recep Tayyp Erdogan agli Stati Uniti prima di intervenire al fianco degli alleati della coalizione, c’è la richiesta della costituzione di una zona cuscinetto tra Siria e Turchia. Qui Erdogan ammasserebbe tutti i profughi che negli oltre tre anni di guerra civile sono scappati dalla Siria. Sono circa un milione e mezzo di persone, delle quali circa 300mila sopravvivono in condizioni precarie, e senza status ufficiale, a Istanbul e 220mila vivono nei 22 campi allestiti dal governo turco lungo il confine con la Siria. creare una zona cuscinetto che li accolga proprio in quella regione che corrisponde a gran parte del Kurdistan significherebbe creare una popolazione prevalentemente araba, che toglierebbe quindi forza alle pretese di autonomia dei curdi. Una proposta, quella di Erdogan, accolta positivamente dalla Francia, ma che è stata per ora stoppata dal neosegretario dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg: «Non è ancora nell'agenda della Nato, non è una questione attualmente in discussione».

Kobane non è una priorità Usa. Per gli Stati Uniti, inoltre, la difesa di Kobane non sarebbe una priorità strategica. A farlo intendere, anche se tra le righe, è il Segretario di Stato Usa John Kerry a margine di un colloquio con i giornalisti che gli chiedevano i motivi della ritrosia americana a intervenire su Kobane. «Malgrado la crisi in corso a Kobane, gli obiettivi originali del nostro impegno sono i centri di comando e controllo e le infrastrutture (dell’Isis), e noi stiamo cercando di privarli della capacità globale e ostacolarli non solo a Kobane ma in tutta la Siria e l'Iraq». Si capisce quindi come gli obiettivi dell’America siano ben diversi da quelli di Erdogan, che mira a indebolire la resistenza curda e vuole la destituzione del presidente siriano Bashar al-Assad. Per gli Stati Uniti la priorità è l’Isis visto su scala globale, per la Turchia l’Isis sembra venire in secondo piano e solo in relazione alle questioni curda e siriana.

Critiche a Obama. Per la gestione della lotta all’Isis, il presidente Usa Barak Obama ha ricevuto una pioggia di critiche. Prime tra tutte quelle dell’ex presidente Jimmy Carter, che lo accusa di non avere una strategia chiara e organica: «Cambia di continuo, e ho notato che due dei suoi segretari alla difesa, una volta lasciato l’incarico, sono stati molto critici nei suoi confronti, denunciando un’assenza di azione positiva da parte del presidente». Carter non capisce quindi cosa Obama voglia davvero fare in Medio Oriente, e a sostegno della sua tesi cita i casi di Leon Panetta e Robert Gates, entrambi particolarmente critici nei confronti soprattutto dello stile decisionale non decisionista del presidente, ma anche nel merito di alcune decisioni prese. La critica maggiore che in America muovono a Obama è quella di non aver armato i ribelli moderati siriani, e questo ha fatto sì che l’Isis abbia preso forza. Dal Pentagono sono sempre più intense le preoccupazioni che l’avanzata jihadista non si riesca a fermare solo con i raid aerei. Il presidente Obama, dal canto suo, respinge le critiche e ribadisce come l’Isis costituisca una minaccia per il mondo e la guerra per distruggerli non possa che essere una "missione difficile" e che il suo esito positivo non può raggiungersi in breve tempo.

Liberato il frate francescano. Intanto, una piccola luce di speranza arriva dalla Siria. È stato liberato fra Hanna Jallouf, il frate francescano della Custodia di Terra Santa, parroco del villaggio di Knayeh, rapito tra il 5 e il 6 ottobre. Il rapimento non sarebbe stato opera dell’Isis, anche perché il luogo nel suo convento dai miliziani di Al-Nusra, pur essendo quasi al confine con la Siria, è nella valle dell’Oronte, che dista oltre 200 chilometri da Kobane. A rapire il frate e una ventina di parrocchiani sarebbero stati degli affiliati di alQaeda, la brigata jihadista Jabhar al-Nusra, che controlla la zona. I rapiti sarebbero stati tenuti in ostaggio a pochi chilometri da loro villaggio, e i rapitori non avrebbero avanzato alcuna rivendicazione. Ora fra Hanna, liberato con quattro donne che facevano parte del gruppo dei rapiti, è tornato al suo convento, ma non può lasciare il villaggio.

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