L'intervista ripresa dal Fatto Quotidiano

Norimberga, settanta anni dopo La storia raccontata da chi l'ha fatta

Norimberga, settanta anni dopo La storia raccontata da chi l'ha fatta
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Il 20 novembre ricorrerà il settantesimo anniversario del processo di Norimberga. Le udienze occorse per sottoporre a giudizio i criminali nazisti furono 407, i testimoni interpellati furono 166, mentre i documenti esaminati furono più di centomila. Tra coloro che assistettero alle sedute giudiziarie vi fu anche Hannah Arendt, che raccontò la sua esperienza dapprima sulle pagine del New York Times e poi nel libro La banalità del male.

Uno degli ultimi testimoni oculari. Tra i presenti al processo c’era anche il professore Yves Beigbeder, uno dei pochissimi testimoni oculari rimasti. Rivestiva allora il ruolo di segretario del giudice francese Henri Donnedieu de Vabres. Dopo Norimberga, Beigbeder ha lavorato per organizzazioni internazionali come la Fao e l’Oms, ha insegnato a livello accademico in Francia, Svizzera, Stati Uniti e Canada e, ancora oggi, continua a scrivere libri e articoli, a tenere conferenze e a fornire consigli giuridici ai funzionari delle Nazioni Unite. Beigbeder, novantunenne, è stato intervistato dal professor John Q. Barrett, docente di diritto alla St. John’s School di New York e autore della biografia di Robert Houghwout Jackson, procuratore capo del processo di Norimberga. Il racconto di Beigbeder, ripreso dal Fatto Quotidiano, ha riportato al presente i momenti salienti dei giorni seguiti al 20 novembre 1945.

 

 

La nascita della giustizia internazionale. Beigbeder era a Parigi, il 20 novembre 1945. Si era appena laureato. Pochi mesi dopo, nel marzo 1946, divenne l’assistente di Henri Donnedieu de Vabres e, in quanto tale, fu fatto salire su una aereo militare e portato a Norimberga. Seguì le udienze fino ad agosto, ma il processo si concluse due mesi più tardi, a ottobre. Ciò che accadde nel tribunale fu fondamentale per la nascita di una giustizia internazionale, «anche se bisognerà attendere mezzo secolo perché siano istituite, su iniziativa dell’Onu, due istituzioni giuridiche internazionali che abbiano la potestà di giudicare i responsabili di crimini di guerra e di genocidio, il tribunale penale internazionale per la Ex-Yugoslavia, nel 1993, e il tribunale penale internazionale per il Ruanda».

Perché Norimberga. Il processo contro i crimini commessi dal nazismo avrebbe dovuto tenersi a Berlino, ma non c’era sufficiente spazio per accogliere gli addetti ai lavori e i giornalisti. Nella capitale tedesca, dunque, si svolse soltanto la sessione inaugurale. Norimberga fu scelta soprattutto per il valore simbolico che aveva rivestito durante il regime: qui si erano svolte centinaia di adunate naziste e qui erano state approvate le leggi razziali, il 15 settembre 1935, quelle sulla protezione del sangue e dell’onore tedesco e sulla cittadinanza. Le udienze si tenevano nell’Aula 600 del Palazzo di Giustizia di Norimberga, ricorda il professore. Nei fine settimana l’Aula è aperta, per chi volesse osservare il luogo in cui i dirigenti di uno Stato erano processati, per la prima volta, per crimini contro l’umanità. «Il reato per crimini contro l’umanità era ben definito dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga: l’assassinio, lo sterminio, la deportazione e la riduzione in schiavitù e ogni altro atto disumano commesso contro le popolazioni civili, così come ogni persecuzione per motivi di ordine politico, razziale, religioso, sono atti che caratterizzano il crimine contro l’umanità. Questa stessa definizione venne ripresa nel 1946, in occasione delle risoluzioni adottate dall’assemblea generale dell’Onu, che gli dette una portata e un significato universali», spiega Beigbeder.

 

 

Gli imputati e gli assenti. L’aula affollata del tribunale vedeva schierati i capi della dittatura. C’erano Hermann Goering, Rudolf Hess, protetto di Hitler e Joachim von Ribbentrop, il ministro degli Esteri nazista noto per il patto stretto con la Russia all’inizio della guerra per assicurarsi la neutralità di Mosca. C’era anche il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, in divisa. Tanti, però, mancavano all’appello. Hitler e Goebbels si erano suicidati, Heinrich Himmler si uccise subito dopo essere caduto nelle mani dei britannici, mentre Robert Ley, il ministro del Lavoro, si era tolto la vita il 24 ottobre, nella cella della prigione di Norimberga. «Era stato uno dei primi sostenitori di Hitler. Morì lo stesso giorno in cui venne fucilato a Oslo Vidkun Quisling, colpevole di "collaborazione criminale". Martin Bormann venne giudicato in absentia: era fuggito e ancora oggi non si sa bene che fine abbia fatto», racconta Beigbeder.

Le sentenze. Soprattutto, però, a Norimberga si era schierata l’Europa, risvegliatasi dopo un lungo e terribile sonno. I 218 giorni di dibattimento si conclusero con una serie di sentenze lette dal magistrato inglese sir Norman Birkett. Dodici imputati furono condannati all’impiccagione, cioè «Goering, von Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunnen, Rosenberg, Frank, Frick, Streicher, Sauckel, Jodl, Seyss-Inquart e Bormann, contumace. Tre ebbero l’ergastolo: Hess, Funk, Raeder. Von Schirach e Speer presero vent’anni. Von Neurath, 15 anni. L’ammiraglio Doenitz, 10 anni. Tre le assoluzioni: von Papen, Schacht e Fritsche. Le condanne a morte furono eseguite nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 1946. Al capestro sfuggì Goering: qualche ora prima di essere condotto al patibolo, inghiottì una capsula di cianuro».

Per ricordare. Il 20 novembre 2015 l’Aula 600 del Palazzo di Giustizia di Norimberga sarà nuovamente aperta. Questa volta, per ricordare. Per la commemorazione 70 anni dopo il Processo di Norimberga: i testimoni oculari ricordano, infatti, Beigbeder e Barrett dialogheranno con George Sakheim, 92 anni, un ebreo tedesco che fu reclutato dagli Alleati per fare l’interprete durante il processo, e con padre Moritz Fuchs, pure novantenne, il quale nel 1945 fece da guardia del corpo al procuratore capo Jackson, che era stato 58esimo procuratore generale degli Stati Uniti.

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