«L'Europa è ancora fatta di nazioni sovrane»

Ungheria, tra muri e flussi migratori «Decidiamo noi, non Bruxelles»

Ungheria, tra muri e flussi migratori «Decidiamo noi, non Bruxelles»
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Il 6 aprile 2014 le elezioni ungheresi hanno premiato per la terza volta, la seconda consecutiva, il partito conservatore Fidesz ed il suo leader Viktor Orban, probabilmente il capo del governo più discusso all'interno dell'Unione Europea. Accusato di voler limitare la libertà di stampa attraverso la legge sui media del 2011 e imporre la propria maggioranza dopo la nuova costituzione approvata nello stesso anno, il premier magiaro è tornato sotto l'occhio dei riflettori durante la crisi migratoria e la decisione di costruire un muro al confine con la Serbia per limitare gli arrivi. Per comprendere meglio la politica locale ed il costante tentativo di smarcarsi a livello internazionale, abbiamo incontrato Zoltan Kovacs, segretario di Stato e portavoce del governo dal 2010.

Modello ungherese. Premiati da oltre il 45% degli elettori, i rappresentanti di Fidesz hanno in mente un solo obiettivo: riformulare la politica con un proprio modello. «Quello che stiamo facendo è retaggio del nostro passato immediato e di ciò che ci siamo ritrovati a gestire», spiega Kovacs. «Nel 2009 l'Ungheria era nella stessa situazione della Grecia, se non peggiore: in cinque anni abbiamo portato cambi strutturali e riforme. Siamo in piena crescita economica, le strutture funzionano nonostante lo scetticismo». Da parte di chi? «Di coloro che reputavano il nostro modello poco ortodosso, o comunque non in linea con un approccio neoliberale».

 

Angela Merkel, Viktor Orban

 

Costituzione e legge sui media. Il sospetto è che si voglia andare al sodo sulle questioni per le quali Orban e l'Ungheria hanno fatto discutere tutta l'Europa durante il primo mandato. Sta parlando della Costituzione e la riforma dei media, con relative proteste della società civile? «Io mi riferisco più a concetti come la risoluzione del debito nazionale, la crescita e la lotta alla disoccupazione. Crediamo che la redistribuzione della ricchezza debba avvenire attraverso i ricavi provenienti dal lavoro piuttosto che da qualche tipo di aiuto sociale».

Un testo di origine stalinista. E allora perchè le proteste degli ultimi anni? Sulla costituzione si espresse perfino Ban Ki Moon, che chiese maggiore attenzione da parte del governo riguardo alle critiche. «La società civile si è opposta alle nostre leggi e alla costituzione, ma non credo sia necessario riferirsi ad esse come metodi non ortodossi. Erano leggi inevitabili e richieste, costituiscono le fondamenta del modello che intendiamo proporre». Sull'inevitabilità del testo tanto discusso, il metro di giudizio è temporale. «Siamo stati l'ultima nazione post-comunista ad approvare una nuova costituzione, per 25 anni abbiamo mantenuto un prodotto della società stalinista del 1949, anche se emendato».

 

Slovenia Migrants

 

Società civile. Uno degli ultimi avvenimenti ad aver mosso un gran numero di persone nelle strade della capitale fu la proposta, poi affossata, di tassare internet. Diverse organizzazioni, indipendenti dai partiti di opposizione, si mossero per chiedere una politica più bilanciata. Tra queste, uno dei fenomeni più visibili è il cosiddetto “Partito del cane a due code”, nato nel 2006 e protagonista durante la campagna propagandistica legata ai migranti: da una parte i manifesti (in ungherese) che richiedevano ai migranti di rispettare le leggi e la cultura locale, dall'altra una serie di poster satirici indirizzati ad Orban e a Fidesz. Qual è l'approccio verso questa politica? «Questo è più un dibattito filosofico che politico. Non siamo contro la società civile, ma crediamo nella democrazia rappresentativa e non, ad esempio, in quella partecipativa dove molti pretendono di decidere senza essere stati eletti. Stiamo cercando di rimettere a posto le cose e la politica deve rimanere il mestiere dei politici». Però la società civile contribuisce al dialogo. «Solo il fatto che ne stiamo discutendo indica il rispetto che abbiamo per la società civile. Il suo dovere è quello di lanciare spunti di riflessione e in un certo senso controllare l'operato del governo, ma se si decide di intervenire nella vita politica di un Paese si diventa automaticamente politici».

Immigrazione, la posizione magiara. Nelle prime settimane di settembre, l'Ungheria è stata al centro delle news di tutto il pianeta per il numero incredibile di migranti e richiedenti asilo che attraversavano il confine con la Serbia, poi recintato dalle autorità fra le polemiche in Europa. «Questa è una questione complicata, la più grande crisi affrontata finora dall'Unione Europea, ma credo che, al di là dello shock iniziale, l'Ungheria sia stato l'unico Paese ad aver dimostrato di poter dare una buona risposta». Costruendo il muro? «Non ho parlato di soluzione, ma di risposta. Ci hanno accusato in molti di aver trovato una soluzione nel muro, ma è solo una risposta rapida. Può non piacere, ma funziona. Le leggi più restrittive possono non piacere, ma funzionano».

 

Migrant Woes US and Europe

 

Europa delle nazioni. Qual è, quindi, il ruolo dell'Ungheria? «Noi stiamo facendo la nostra parte, però vorremmo decidere per conto nostro quali regole applicare riguardo a chi entra nei nostri confini. Però questo viene rifiutato perché c'è chi sta cercando di decidere il destino dei singoli Paesi europei. E questo non deve accadere. È impossibile che altri Stati europei o, direttamente, Bruxelles possano decidere sulle problematiche nazionali. Possono non piacere le nazioni, ma l'Europa è ancora fatta di nazioni sovrane». E la soluzione, ammesso che ci sia? «Siamo lontanissimi dal raggiungerla, però è necessario aggiornare le decisioni in conseguenza degli sviluppi recenti».

Quote. Una delle proposte europee per far fronte all'emergenza migranti è stata quella di proporre una quota obbligatoria per ogni Stato membro dell'Ue, cassata per lo più dai Paesi di nuova adesione. «Siamo stati molto chiari su questo», sostiene il portavoce. «Non accetteremo nessuna quota obbligatoria. Decisioni come queste vengono prese dai singoli governi, e ad aprile e giugno ci sono state decisioni unanimi riguardo le quote volontarie, sulle quali l'Ungheria aveva ottenuto alcune esenzioni essendo uno dei Paesi più esposti».

Scontro sui numeri. L'alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha diffuso i dati riguardanti l'origine dei migranti, indicando che il 52% è composto da siriani in fuga dalla devastazione, diretta conseguenza del conflitto ingaggiato fra il governo di Assad e le forze ribelli e delle azioni violente dello Stato Islamico. Ma Kovacs non è d'accordo «Fra il 75 e l'80% delle persone in transito verso l'Europa sono maschi fra i 18 e i 35 anni, è statisticamente impossibile che persone di questa età, provenienti da Paesi in guerra, siano esentate dal prendere parte al conflitto. La statistica dimostrerà che la stragrande maggioranza delle persone non sono rifugiati». Quindi sono da considerare migranti di natura economica? «In qualsiasi modo li si voglia chiamare, non sono classiche richieste di asilo. Durante le guerre nei Balcani abbiamo ricevuto decine di migliaia di rifugiati perchè eravamo il Paese più vicino a non essere in guerra. In questo caso le persone viaggiano attraverso l'Europa per due o tremila chilometri, ma per loro stessa natura le richieste di asilo dovrebbero avvenire nel primo Paese in cui i rifugiati sono in grado di ottenere protezione. Non ci sono guerre né in Serbia, né Macedonia, né in Grecia, per cui questo afflusso continua ad essere incontrollato e indisciplinato, non porterà da nessuna parte».

 

Mideast Migrants Everyone's Syrian

 

Isolamento. I Paesi di recente adesione all'Ue, spesso indicati come “Gruppo di Visegrad” (dal nome della cittadina ungherese dove le nazioni si incontrarono nel '91, per stabilire un piano di cooperazione), si pongono spesso fra i più critici verso le politiche comunitarie. Ungheria e Polonia, in primis. Non c'è un rischio di isolamento? «È più una differenza di approccio. Noi crediamo che l'Europa possa essere più forte solo attraverso stati membri più forti e non viceversa. Siamo sulla stessa onda con gli altri Paesi del gruppo Visegrad, e crediamo che non ci sia una visione reale dell'Europa. Non siamo disponibili a cedere una parte della nostra sovranità senza sapere cosa otterremo in cambio e chi deciderà».

Budapest a cinque cerchi. Saltano all'occhio i profondi cambiamenti in ambito sportivo e gli investimenti dei club in nuove strutture. E ovviamente la candidatura ai Giochi Olimpici del 2024 per Budapest, che, fra le altre città, dovrà vedersela con Roma. «Molti credono erroneamente che spendiamo più soldi degli altri paesi nella promozione dello sport, ma si tratta di un sistema di tassazione che rende esenti coloro che spendono nell'attività sportiva e nelle nuove infrastrutture. È il sistema stesso a permetterlo». E le Olimpiadi sono una sfida? «Il fenomeno sociale è visibile, lo sport è sempre stato un successo in Ungheria e dobbiamo fornire supporto a questo. L'Ungheria ospiterà i mondiali di nuoto del 2017 e sono un'opportunità per rimettere in gioco l'immagine del Paese, così come la candidatura avanzata dalla città e dal comitato olimpico». La risposta arriverà fra poco meno di due anni, nel settembre del 2017, quando si assegneranno i Giochi Olimpici e non è detto che tale risultato non influirà sulle elezioni di pochi mesi dopo. Un vero banco di prova per capire dove deciderà di posizionarsi il paese più discusso d'Europa.

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