L'11 settembre della Casa Bianca Le mail gridarono: «È Pearl Harbor»

In occasione del quattordicesimo anniversario dalla caduta delle Torri Gemelle e dall’attacco terroristico che ha impresso una svolta alla storia contemporanea, il New York Times ha chiesto e ottenuto una parte della corrispondenza elettronica scambiata tra i dipendenti della Casa Bianca. Le email rilasciate dalla Biblioteca Bush sono tuttavia incomplete. La biblioteca, gestita dalla National Archives and Records Administration, sta ancora trattenendo la maggioranza dei messaggi inviati l’11 settembre 2001, appellandosi alla sicurezza nazionale. Qui di seguito abbiamo riportato le email rese pubbliche dal giornale statunitense.
La mattina dell’11 settembre 2001 inizia come ogni altra mattina. Per gli addetti della Casa Bianca c’è da svolgere la solita, ordinaria amministrazione.
Ore 5:37. «Manda tutte le comunicazioni». Carl Rover, consigliere anziano del presidente Bush, manda una email a un assistente, cercando tutte le notizie del mattino.
Ore 6:59. «Dovrei essere disponibile. Lo sapremo di sicuro dopo un incontro con il Vice Presidente, questa mattina». John McConnell, speechwriter, invia un’email al suo capo, riguardo a un incontro del pomeriggio.
Ore 7:30. Si discute dei punti per un evento sull’educazione a cui parteciperà il presidente Bush in quel giorno. Jim Wilkinson, un assistente della Casa Bianca, diffonde le copie a dozzine di colleghi.
Ore 8:42. «Tutto quello di cui avrei veramente bisogno sarebbero dieci minuti o […] il suo tempo». Karen Hughes, consulente del presidente, riceve una richiesta per una intervista televisiva con Bush sul suo primo anno alla Casa Bianca.
Alle ore 8:46 il volo American Airlines 11 si schianta contro la Torre Nord del World Trade Center. È l’inizio dell’incubo. Improvvisamente le email assumono un tono differente.
Ore 8:56. «Accendi la CNN». Tucker Eskew, direttore dell’ufficio per le relazioni con la stampa della Casa Bianca, manda una email a tre colleghi.
Ore 9:09. «Cancellato l’incontro sul budget delle 9:30». Tracey Shmitt, un’assistente della Casa Bianca, invia la notifica a vari colleghi.
Ore 9:11. «Cancellata la teleconferenza tra la Casa Bianca e il Congresso». Schmitt avvisa un altro gruppo di colleghi.
Ore 9:20. «Oggi è Pearl Harbor». Mary Matalin, il consulente del Vice Presidente Dick Cheney, riceve questo messaggio da David Horowitz, uno scrittore conservatore.
Ore 9:23. «Fatti forza». Joshua B. Bolten, capo deputato dello staff, riceve questo incoraggiamento da Dan Price, un collega.
[Lacuna nel materiale ricevuto dal New York Times]
Il governo statunitense si sta preparando a dare una risposta. Alle ore 9:51 viene annunciata l’emergenza nazionale.
Ore 9:51. «Precedenza per una risposta coordinata di emergenza nazionale». Jay Lefkowitz, un avvocato della Casa Bianca, invia l’email a Bolten e altri colleghi.
Ore 9:51. «L’ufficio per le Emergenze del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani pronto alle 17:00 per una teleconferenza – Note». Bolten riceve questo messaggio da un ufficiale del Dipartimento.
Ore 11:44. «I terrificanti eventi di oggi: troppo per qualsiasi agenda legislativa, per quanto mi riguarda. Deve essere stato assolutamente emozionante questa mattina, mentre lo shock svanisce (ma non scompare mai)». Nicholas E. Calio, il direttore legislativo, riceve questo da un amico del college.
Dopo essere stati evacuati dalla Casa Bianca, solo alcuni assistenti presidenziali ritornano nell’edificio, mentre altri si trasferiscono in quartier generale provvisorio alla distanza di qualche isolato. Dovunque siano, ricevono messaggi da amici e cari che temono per la loro sicurezza e si preoccupano a loro volta per amici e parenti a New York o al Pentagono.
Ore 12:13. «Sei al sicuro? È difficile capire quello che sta succedendo oggi. Spero che tu e […] sano e salvo». Clay Johnson, amico di lungo corso del presidente e ora assistente alla Casa Bianca, riceve questo messaggio dalla sorella, Ellen.
Ore 12:45. «Mark e Rachel stanno bene. Anche Brenda Anders». Hughes riceve il messaggio da un assistente, che la rassicura su amici e colleghi.
Ore 13:10. «Cara Karen, sono incredulo. Sei nelle mie preghiere, come lo è il presidente. Capisco che c’è un paese dietro a questo, dovremmo essere in guerra ora. Abbiamo servizio oggi alle 12:45 e alle 17:30. Ti terremo nelle nostre preghiere. Accludo alcune note dalla mia meditazione sul Salmo 23. Ti voglio bene, Doug». A Hughes, da Douglas Fletcher, suo pastore e amico in Texas.
Ore 13:31. «Josh, Ti stiamo pensando e crediamo che il tuo gruppo gestirà questa situazione con saggezza e forza. Affetto da Ellen e Jay». A Bolten, da un vecchio amico
Ore 13:44. «Tutta la mia solidarietà e amicizia, oggi. Javier». A Condoleeza Rice, il consigliere del presidente per la sicurezza nazionale, da Javier Solana, il capo della sicurezza dell’Unione Europea.
In nessuno dei messaggi che sono stati rilasciati si descrive l’atmosfera di paura o incertezza all’interno della Casa Bianca. Però sono offerti alcuni indizi.
Ore 17:07. «Incredibile. Sono appena tornato alla Casa Bianca, dopo essere rimasto in un bunker per tutto il pomeriggio». Johnson a sua sorella.
Ore 17:28. «Ti senti sicuro lì?» La risposta della sorella di Johnson.
Ore 17:31. «Se è abbastanza sicuro perché il presidente vi faccia ritorno, è abbastanza sicuro per me», risposta di Johnson.
Dopo essere stato sull’Air Force One per tutto il giorno, volando da una base aerea a un’altra, il presidente George W. Bush si prepara per fare ritorno alla Casa Bianca. Vuole rivolgersi alla nazione con un comunicato dall’Ufficio Ovale. Sono scambiati abbozzi e idee sul discorso.
Ore 16:23. «Versetti». Hughes riceve una email con questo messaggio da Stuart Bowen, il capo della segreteria della Casa Bianca. Include salmi, proverbi e versetti da Isaia, Giobbe e Matteo.
Ore 19:59. «Il discorso è stato straordinario. Persino più impressionante per il fatto che lo hai scritto a forza, in poco tempo e in circostanze da incubo». Hughes riceve questo da Bowen.
Da allora tutto è cambiato. Le conseguenze degli eventi dell’11 settembre 2001 hanno segnato gli ultimi anni e continuano a segnare il nostro presente.