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La bega tra Comune e cittadini sul futuro dell’ex Principe di Napoli

La bega tra Comune e cittadini sul futuro dell’ex Principe di Napoli
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La sua storia inizia il 12 novembre 1870, quando l’ente morale Principe di Napoli, fondato per gestire l’asilo infantile a servizio dei borghi orientali della città, acquista l’immobile di via Pignolo 11 grazie al generoso lascito del pittore bergamasco Giacomo Trecourt. Quasi un secolo più tardi, a seguito della conclusione delle attività dell’istituto, viene acquisito dal Comune, con il vincolo di mantenerne l’uso sociale. Una clausola inserita nell’atto di cessione dello stabile, siglato dall’ultimo presidente dell’ente, don Tarcisio Ferrari. Tra gli Anni Novanta e il primo decennio del Duemila, le sale dell’ex asilo vivono un momento di fermento artistico e si fanno sede di mostre, performance e laboratori.

 

I tentativi delle giunte e l'ultima decisione. Nel 2008 la Giunta Bruni delibera il rifacimento di una parte dell’immobile, destinandola a ospitare un Centro Famiglia, servizio che venne poi realizzato altrove. Nel 2013 ci riprova l’Amministrazione Tentorio, promuovendo un bando destinato all’housing sociale, che prevede un ingente intervento di ristrutturazione, per un valore superiore ai tre milioni di euro con cofinanziamento regionale di 800mila euro. Il bando, però, va deserto. Si approda così nel 2016, con la decisione da parte della Giunta Gori di vendere il Principe di Napoli. I cittadini insorgono: si forma il comitato “Gruppo di opinione della Piazzetta”, che avvia una raccolta firme per impedire l’alienazione della struttura. «Riteniamo che il vincolo di uso destinato alla collettività, voluto dal donatore, non possa in alcun modo essere disatteso da un’Amministrazione che intende essere credibile e tenere fede alla parola data, anche dopo decenni – sottolinea Ornella Giudici, portavoce della petizione popolare –. In un momento storico in cui decine di cittadini perdono la casa per ragioni economiche, mettere in vendita a privati un edificio dove ci sono numerosi appartamenti di proprietà pubblica ci appare una scelta sbagliata e socialmente iniqua».

 

 

La posizione della giunta Gori. Gli oltre tre milioni ad oggi necessari per il rifacimento dell’immobile, che versa in condizioni di abbandono e degrado, porterebbero a ricavare dieci alloggi. Un costo che l’Amministrazione comunale considera troppo elevato, comparato alla spesa di 5 milioni di euro per la ristrutturazione di 224 alloggi Aler in consegna quest’anno: «Il complesso ha un quadro di sostenibilità economica troppo incerto per poterlo convertire all’housing sociale – spiega l’assessore alla Riqualificazione urbana e al Patrimonio immobiliare Francesco Valesini –. Abbiamo optato per la sua cessione, prevedendo un intervento di restauro conservativo destinato prevalentemente alla residenza, ma con l’obbligo di mantenere alcuni locali di proprietà comunale e con un diritto di passaggio che attraverserà l’intero complesso, per realizzare in futuro un collegamento pedonale fra via Pignolo e il parco Marenzi». Il ricavato dell’alienazione del Principe di Napoli, quotato a 2,4 milioni di euro, andrebbe a finanziare lavori di riqualificazione nei quartieri di Grumello, Loreto, Longuelo e Valtesse, non compresi negli investimenti già previsti nel Bando Periferie: «Se non è “sociale” tutto questo – commenta Valesini –, non so cos’altro possa essere definito tale».

 

 

La petizione e chi dice noAl momento manca ancora il parere vincolante dell’Ats e l’opposizione in Consiglio comunale a luglio ha ottenuto una sospensiva alla delibera, facendo slittare la discussione ad ottobre. Intanto il comitato, che finora ha raccolto trecento firme e continua a promuovere la petizione anche attraverso la pagina Facebook e alcuni esercizi commerciali di Borgo Santo Spirito, non si arrende e chiede a gran voce all’Amministrazione di aprire un tavolo partecipato di discussione con i cittadini e le associazioni, per pensare ad un uso pubblico di quello che definiscono «un patrimonio della città di rilevante interesse storico e culturale».

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