Braccia incrociate dal 26 marzo

Mercatone Uno, tra crisi e silenzi Cosa succede allo store di Verdello

Mercatone Uno, tra crisi e silenzi Cosa succede allo store di Verdello
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Dal 26 marzo al “Mercatone Uno” di Verdello è sciopero ad oltranza. L’unica scadenza certa, al momento, è quella dell’astensione dal lavoro in tutti i punti vendita del gruppo, a livello nazionale, prevista per il 1 aprile: solo allora, forse, si saprà qualcosa di più sul futuro dei 50 dipendenti dello store della bergamasca, e degli oltre 3700 occupati in Italia interessati dalla crisi del marchio.

Il blocco del camion. La mobilitazione, per il punto vendita di Verdello, è iniziata il 25 marzo, quando i lavoratori hanno bloccato un camion del gruppo intento a caricare articoli dal magazzino per trasportarli altrove. In seguito hanno indetto un presidio permanente. L’evento è stato il punto di arrivo di una serie di avvenimenti che, secondo i dipendenti, non lascerebbero spazio a dubbi: l’intenzione dell'azienda è quella di chiudere. Dal 21 marzo, in effetti, a Verdello e in altri 33 negozi a marchio “Mercatone Uno” è iniziata una “svendita speciale”, uno svuotamento dei magazzini il cui obiettivo «è chiaro: alla fine della svendita Mercatone Uno chiuderà», secondo quanto dichiarato da Mauro Rossi (di Filcams-CGIL) e Terry Vavassori (di Fisascat-CISL). Ma i dipendenti non ci stanno e, provati da una vertenza che va avanti da quasi due mesi, chiedono risposte.

 

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La crisi del gruppo. Già da settembre dello scorso anno la situazione drammatica dello storico marchio di arredamento si è fatta evidente. L’azienda presentò un piano di risanamento industriale, ottenendo un finanziamento di 25 milioni di euro. Che, a quanto pare, non furono sufficienti: a gennaio il gruppo “Mercatone Uno” presentò la richiesta di ammissione al concordato preventivo, gravato da oltre 400 milioni di euro di debiti. Venne stabilito dalla dirigenza il termine del 28 febbraio per eventuali investitori interessati a intervenire. Nel corso delle settimane successive, singole società all’interno del gruppo sono state falcidiate da istanze di fallimento (come il marchio “Tre Stelle”) o da richieste di concordato, ma si è poi rimasti in attesa di conoscere i nomi dei potenziali investitori e il destino dei dipendenti.

39 punti vendita da salvare. All’inizio di febbraio, in seguito ad un incontro tra i sindacati e i vertici del gruppo, venne fuori il numero dei negozi che l’azienda avrebbe intenzione di salvare: si tratta di 39 punti vendita, anche se non si sa esattamente quali. Sottinteso che per gli altri il rischio concreto sia la chiusura. “Mercatone Uno” dichiara in una nota: «Per l'azione di risanamento si rende necessaria una ridefinizione del numero dei punti vendita che non si sostengono economicamente, che potrebbero essere circa la metà della rete attuale». Allo scadere del termine prefissato gli investitori effettivamente interessati erano tre, ma si mantenne il massimo riserbo sui nomi. A quel punto, in occasione dell’iniziativa di svendita totale, i dipendenti, esasperati dal non sapere per mesi quale sarebbe stato il loro destino, entrano in sciopero. Non solo nella bergamasca, ma in decine di altri punti vendita a livello nazionale. E a Verdello?

Azienda resta vaga. «L’azienda continua a fare rassicurazioni ma si mantiene sul vago. Il direttore del punto vendita, che finora è stato il nostro unico referente, ha la bocca cucita», spiega Mauro Rossi, di Filcams-CGIL, a Bergamo Post. «C’è un gruppo di punti vendita che verrà ceduto, per gli altri l’azienda dice genericamente che sta cercando investitori locali. Ma finora nessuno si è sbottonato». In cerca di risposte, la mattina di sabato 28 aprile i rappresentanti sindacali hanno ottenuto un incontro con la dirigenza. L’assemblea, che originariamente avrebbe dovuto svolgersi in Comune (l’incontro, infatti, è stato organizzato dal Comune di Verdello) alla presenza delle istituzioni, si è poi tenuta direttamente nello store di “Mercatone Uno”. Il risultato, però, è stato deludente. «Non è emerso nulla di nuovo», continua Rossi, «È stato chiesto al direttore di farsi portavoce presso l’azienda delle richieste dei dipendenti, ma quando abbiamo chiesto chi fossero questi potenziali investitori non abbiamo ottenuto risposta. Sono ancora aperte tutte le possibilità».

 

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Capitolo stipendi. Ma qual è la situazione attuale dei lavoratori? Le leggi che regolano le procedure concorsuali (tra cui il concordato preventivo) bloccano la maggior parte dei pagamenti. «Fino al mese di gennaio i dipendenti sono stati pagati regolarmente, ma da gennaio il contratto di solidarietà non è più anticipato dall’azienda. I lavoratori, dunque, percepiscono solo il “lavorato”». Non solo. Le recenti riforme del lavoro rendono difficile anche il ricorso agli ammortizzatori sociali per tutelare i dipendenti che perdono il posto. «Con la legge Fornero prima e col Jobs Act poi, il ricorso alla cassa integrazione - che speriamo essere solo una possibilità remota per i lavoratori di Mercatone Uno - è molto più difficile da ottenere». Il Jobs Act in particolare, infatti, ha abolito la CIG in deroga di cui usufruivano i dipendenti del settore del commercio.

E le risposte? Per il 1 aprile, in concomitanza con lo sciopero nazionale dei dipendenti di Mercatone Uno, è stato fissato un incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico, che ha aperto un tavolo di crisi sulla situazione del gruppo. Oltre ai 3700 dipendenti a rischio, bisogna inserire nel conteggio anche le 15-16 mila persone occupate nella catena di distribuzione: un indotto che rischia di risentire pesantemente della situazione. Nel frattempo i vertici aziendali intervengono per cercare di smorzare le polemiche. E dichiarano: «Non possono essere messi in discussione gli sforzi e l’impegno dell'Azienda per salvaguardare l'occupazione e il sostegno al reddito del personale, di cui si è anche dato atto, nel tempo, sia di fronte agli Enti territoriali interessati, sia ai Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo Economico». Secondo il gruppo, infatti, le ragioni alla base dello sciopero (ovvero la paventata chiusura della metà dei punti vendita) «non corrispondono alla realtà dei fatti, al punto da apparire strumentali».

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