La donna che a tavola scambiò la salviettina liofilizzata per mentina

Oliver Sacks nel 1985 scrisse il fortunato libro L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. A quella raccolta di racconti clinici si potrebbe forse aggiungere anche il caso de La donna che scambiò la salvietta liofilizzata per una mentina, che, benché non si tratti propriamente di un deficit funzionale di qualche regione encefalica, può ugualmente essere annoverato in un altro dizionario patologico, seppur di altra natura.
Il fatto è accaduto realmente ma oggi quasi ogni ristoratore ha fatto proprio l’aneddoto. Sacks raccontava la storia del Signor P., che manifestava incapacità di dare un significato a ciò che vedeva e confondeva tra loro oggetti e persone della sua vita quotidiana. Allo stesso modo si dice che la nostra Signora P. sia inciampata in una gaffe memorabile, ingoiando una salvietta compressa che le era stata servita per detergersi le mani tra una portata e l’altra. È vero che il paziente del famoso neurologo americano confuse la testa di sua moglie per il cappello e tentò di indossarla alla fine di un colloquio, ma anche ficcarsi un asciugamano liofilizzato in bocca è un episodio tanto comico quanto tragico.
Ora, escludendo che la nostra paziente soffra di prosopagnosia grave o una qualche lesione encefalica, rimane vittima di ben altra malattia: portare alla bocca senza pensare. Sarebbe bastato aspettare qualche secondo per vedere il cameriere che con poche gocce di acqua tiepida restituiva alla salvietta il suo aspetto originale.
La Signora P. è un caso parossistico, è vero, ma emblematico. E forse forse la colpa non è del tutto sua e della sua fretta distratta. È davvero possibile che un certo tipo di cucina si sia fatta così mimetica e distante? Così pensata da essere impensabile? Non è la fine del mondo, è vero, ma a pagarne le conseguenze, alla fine, è l’ingenua Signora P.