Ci sarà mai l'autonomia?

Festa catalana per l'indipendenza Ma il voto potrebbe dire poco

Festa catalana per l'indipendenza Ma il voto potrebbe dire poco
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Alle elezioni regionali della Catalogna, tenutesi ieri domenica 27 settembre, ha nettamente trionfato la coalizione di partiti favorevoli all’indipendenza della regione. Sotto il comune simbolo di “Junts Pel Sì”, infatti, a questa tornata elettorale si sono riunite tutte le forze politiche, da destra a sinistra, che ambiscono a slegare ogni nodo che lega la Catalogna con Madrid e lo Stato centrale spagnolo, per renderla un autentico Paese indipendente. E per la prima volta nella storia, e a fronte di un ottimo dato in termini di affluenza (77 percento), la maggioranza dei seggi dell’assemblea catalana è occupata dagli indipendentisti. Un evento più che epocale, ma che non offre alcun tipo di certezza per quanto riguarda il futuro politico della Catalogna e della Spagna tutta.

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Il risultato catalano: trionfa Junts Pel Sì. Come detto, Junts Pel Sì ha radunato partiti e liste politiche provenienti da ogni schieramento ed ideologia, con l’unico scopo di creare un fronte compatto che avesse la forza di ottenere la maggioranza all’interno del Parlamento catalano. E l’obiettivo è stato ampiamente centrato: Junts Pel Sì ha infatti ottenuto il 39,5 percento dei suffragi, pari a 72 seggi su 135 totali, ovvero ben oltre il limite per la maggioranza assoluta (che sarebbe a 68 seggi). Alle spalle della maxi coalizione indipendentista, staccato di una valanga di punti, c’è il partito anti nazionalista catalano Ciutadans, 25 seggi con il 18 percento dei voti. Crollano malamente le due grandi forze politiche di Spagna, il Psoe socialista e il Partito Popolare del Premier Rajoy, che non vanno oltre rispettivamente ai 16 e agli 11 seggi. Artur Mas, Presidente regionale uscente e destinato alla riconferma dopo la vittoria del suo Junts Pel Sì, ha rivendicato la vittoria già dopo tre quarti dello scrutino: «Abbiamo vinto!», ha esclamato in quattro lingue (catalano, spagnolo, francese e inglese) a fronte di circa 2mila sostenitori radunatisi man mano, ma festosi fin dai primi exit poll. «Ha vinto il sì all’indipendenza e ha vinto la democrazia», ha proseguito Mas, «ora chiediamo che gli altri accettino la vittoria della Catalogna e la vittoria del sì. Tutti quelli che negavano il carattere plebiscitario di queste elezioni, cosa diranno con più del 77 percento di partecipazione?». L’esultanza è stata accolta scandendo gli slogan «In-de-pen-den-cia» e «Un solo popolo» e dallo sventolio di bandiere rosse, gialle e blu. Più secco Antonio Banos, leader dei secessionisti radicali del Cup, che ha twittato: «Dedicato allo Stato spagnolo. Senza rancore, adios!». Insomma, la Catalogna ha già cominciato a sentirsi indipendente per davvero.

E adesso? In realtà, il solo fatto che la maggioranza parlamentare catalana sia a favore della secessione non significa affatto che possa considerarsi cosa fatta. Associare, infatti, il caso catalano a quello, ad esempio, scozzese sarebbe un errore, per questioni culturali e anche persino legislative: basti considerare che il Regno Unito ha concesso alla Scozia la possibilità di far esprimere i cittadini, attraverso un referendum, possibilità che invece alla Catalogna era stata negata da Madrid (da cui poi nacque il referendum informale del novembre 2014); e basti anche pensare che la Costituzione spagnola all’articolo 2 dice di basarsi «sulla indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli», e che esiste una legge che addirittura autorizza il Governo centrale ad utilizzare l’esercito per stroncare eventuali velleità indipendentiste.

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La sola via, quella legislativa. Oltre a questioni esterne, però, ve ne sono anche altre concernenti una legittimità interna: perché è vero che Junts Pel Sì ha la maggioranza dei seggi, ma è anche vero che tale maggioranza l’ha ottenuta in forza dell’appoggio del 39,5 percento dei catalani (anzi, dei votanti), a causa del premio di maggioranza, e che quindi non c’è alcuna certificazione che la maggioranza degli abitanti della Catalogna sia in favore dell’indipendenza. Tutto ciò premesso, è chiaro che un tentativo da parte del nuovo Governo regionale verrà effettuato. Tentativo che probabilmente si concretizzerà nel promulgare leggi di carattere statale all’interno della stessa Catalogna, tese alla creazione di un vero e proprio Paese indipendente. Non essendo perseguibile la via del referendum, già a suo tempo negato da Madrid come detto, non resta altra possibilità che provarci per via legislativa. Altrettanto probabile sarà l’opposizione del Governo centrale, che nell’attuale composizione a maggioranza popolare presieduta dal Premier Rajoy non presenta alcun tipo di consenso o favore all’indipendenza catalana. Ma a dicembre ci saranno le elezioni politiche, e con un eventuale nuovo Governo tutto potrebbe cambiare. Non si può dimenticare, inoltre, il rapporto con l’Unione europea: i vertici di Junts Pel Sì hanno già dichiarato che, in caso di indipendenza, nulla cambierà in merito all’appartenenza della Catalogna all’Ue; non fosse che la Commissione europea, a suo tempo, ha già avuto modo di far sapere che una regione che si dichiara indipendente rispetto ad uno Stato membro non può trovare spazio all’interno dell’Europa. Il futuro, dunque, è difficile da pronosticare; quel che però si può affermare con sufficiente certezza è che la via all’indipendenza per la Catalogna è davvero molto, forse troppo, in salita.

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