La Harley ora vorrebbe lasciare gli States dei dazi di Trump

«Una Harley-Davidson non dovrebbe mai essere costruita in un altro Paese. Mai! Se vanno via, per loro sarà l'inizio della fine. Non potranno vendere negli Usa se non pagando tasse pesanti». Mai visto un Donald Trump tanto spiazzato e furioso, come quello che ieri ha reagito all’annuncio della Harley Davidson di delocalizzare la produzione per sfuggire alla trappola dei dazi. Se gli Usa alzano barriere doganali, il resto del mondo farà altrettanto e per la mitica casa statunitense fondata nel 1901 da William Silvester Harley e Arthur Davidson sarebbe un colpo durissimo: strano destino per un marchio che nel 1983 venne salvato proprio dai dazi imposti da Reagan all’importazione delle moto giapponesi.
Pensare che con Trump c’era stato immediato feeling, all’insegna dell’orgoglio americano: i vertici del gruppo erano stati ricevuti alla Casa Bianca, ed avevano avuto il permesso di arrivare cavalcando delle Harley-Davidson. Naturale che fosse così, anche se qualche elemento “inquinante” era già stato introdotto nella lavorazione: i freni ad esempio sono italiani. Allora Trump aveva chiuso un occhio. La prima frizione con il gruppo di Milwaukee c’era stata quando, prima della vicenda dazi, era uscita la notizia della chiusura dell’impianto di Kansas City che sarebbe stato delocalizzato in Thailandia. La ragione non era semplice abbattimento dei costi, ma commerciale. Infatti il mercato americano sta invecchiando e quindi cala il mercato dei potenziali rider. All’opposto in tanti Paesi asiatici la popolazione è più giovane e i soldi ormai non mancano più… L’impianto tailandese infatti è stato programmato per servire il mercato asiatico e per aprire una breccia in quello cinese.
Con la guerra dei dazi invece i conti si farebbero molto salati: settimana scorsa Bruxelles ha stabilito tariffe del 21 per cento (erano al 6 per cento), che aumenterebbero il costo di ogni motocicletta spedita dagli Stati Uniti nel vecchio continente di circa 2.200 dollari. I dazi potrebbero pesare per 90-100 milioni di dollari l’anno, una cifra che la società non intenderebbe scaricare sui consumatori. L’Europa è un mercato cruciale per la Harley-Davidson: nel 2017 quasi 40mila motociclisti hanno acquistato sue nuove moto nel Vecchio Continente. «Espandere la produzione all’estero per alleviare l'onere tariffario dell'Ue non è la nostra preferenza, ma è l'unica opzione sostenibile che dobbiamo rendere le motociclette disponibili e accessibili ai clienti europei», ha spiegato il portavoce di Harley-Davidson, Michael Pflughoeft.
Per ora la società americana si limiterà ad aumentare la produzione nei suoi impianti internazionali. Mentre per il trasferimento ci vorranno dai 9 ai 18 mesi. I Paesi in cui intende investire sono la Thailandia come già da tempo annunciato, a cui si aggiungono ora India e Brasile. Trump, che aveva chiesto alle aziende americane di temer duro e resistere alle ritorsioni europee, si è visto tradito proprio dal marchio più iconico e più americano che ci sia. «Hanno alzato bandiera bianca. La pagheranno», ha annunciato The Donald con il coltello tra i denti.