La lettera delle mamme del micronido di Seriate: «Vi siete dimenticati dei bimbi più piccoli!»
Cyntia, a nome delle altre famiglie che portano i loro figli all'Arca del Bebè, chiedono chiarezza anche sul futuro di queste realtà, al momento lasciate senza alcun tipo di sostegno
Il tema delle scuole, in questa situazione senza precedenti che stiamo vivendo tutti, è uno dei più sentiti, sebbene sia anche uno di quelli forse meno trattati dal Governo. Fatto sta che appare ormai assicurato che i nostri figli potranno tornare a scuola (forse) soltanto a settembre. Comprensibile, data l'emergenza sanitaria che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo. Un po' meno comprensibile, però, è l'assenza quasi totale di supporto alle famiglie, soprattutto dei bambini più piccoli, che si trovano a vivere nell'incertezza e a dover gestire le giornate dei loro figli.
Non solo: un altro tema delicato è il futuro di strutture come gli asili nido e i micro-nido privati. Fondamentali per la comunità (quelli pubblici non sono abbastanza e in diversi comuni addirittura sono assenti), al momento non hanno ricevuto alcun supporto e rischiano seriamente di chiudere. Anche questo tema viene toccato da una lettera che ci è stata scritta da Cyntia Maribel Savoldi, portavoce delle famiglie del micronido Arca del Bebè di Seriate. 33 anni, madre di due bambine in età prescolare, Cyntia chiede che sia fatta un po' di chiarezza sul futuro di queste famiglie e di strutture come, appunto, i micronidi. Riportiamo di seguito la sua lettera.
Venerdì 21 febbraio 2020. Il fine settimana era ufficialmente alle porte. I bambini erano più irrequieti e felici del solito. Dopotutto era il weekend di Carnevale, perché non esserlo? Vero, in tv e nel web già si parlava di Coronavirus da qualche tempo ma quel venerdì, per noi, la cosa riguardava ancora solo la Cina. Whuan. Eravamo preoccupati? No.
Sabato 22 febbraio 2020. Tutte le prime pagine dei giornali riportavano la stessa notizia: il Covid-19 era arrivato in Italia. C’era già una prima vittima e tra Lombardia e Veneto si contavano già una ventina di contagi. Per contenere il virus in 11 comuni era già stato attivato un cordone sanitario e 50mila persone erano già state messe in isolamento. Eravamo preoccupati? Nì.
Domenica, 23 febbraio 2020. Tutti i Tg nazionali parlavano solo di Coronavirus. C’era una seconda vittima. I contagi erano triplicati. Il Governo parlava di misure speciali per il Nord Italia. L’esercito era stato convocato. I contatti sociali iniziavano ad essere sconsigliati. Tutte le manifestazioni al chiuso, feste di carnevale comprese, erano state annullate. Circolava la voce che nidi e scuole probabilmente sarebbero stati chiusi. Nel pomeriggio la notizia del primo caso di Coronavirus in provincia di Bergamo. Un ospedale viene chiuso. In serata viene emesso il primo decreto con le “misure urgenti di contenimento del contagio nei comuni delle Regioni Lombardia e Veneto”. La sospensione dei servizi educativi dell’infanzia viene confermata ma… #tuttoandràbene. In fondo si tratta di sole 2 settimane. Invece…
Invece questi 3 giorni segneranno definitivamente e tragicamente le vite di noi bergamaschi. Nelle successive due settimane i malati e le morti cresceranno in maniera esponenziale. Alzano e Nembro diventeranno le Whuan italiane. L’8 marzo tutta la Lombardia verrà blindata. Inizierà così il nostro isolamento sociale. Si potrà uscire solo per motivi di salute, di lavoro o di assoluta urgenza. Il 10 marzo il lockdown verrà esteso all’intera nazione e l’11 marzo l’OMS dichiarerà il Coronavirus pandemia. A Bergamo si consumerà un’ecatombe: la strage dei nostri nonni.
Martedì, 21 aprile 2020. Oggi. Se inizialmente, di fronte alla prospettiva di una chiusura di nidi e scuole di sole 2 settimane, noi genitori non ci siamo presi la briga di dare alcuna spiegazione ai nostri figli più piccoli, oggi, a distanza di 2 mesi ci ritroviamo a sperare che tutti gli arcobaleni realizzati insieme a loro siano veramente stati utili a qualcosa. Noi genitori ci auguriamo disperatamente di essere stati capaci con le nostre attività “artistiche” di farli sentire al sicuro, allontanandoli da tutte le nostre ansie e tristezze. “Voglio i nonni”, “Voglio la mia maestra”, “Perché non possiamo andare al parco?”, “Quando va via il Coronavirus?”. Domande che oramai vengono fatte quotidianamente. Domande che oramai non possiamo più evitare e per le quali non esistono né risposte certe né tanto meno consolanti. E i bambini sono sempre più agitati, i capricci aumentano ogni giorno di più, le urla e i pianti senza motivo pure e gli incubi sono diventati ricorrenti. No, i nostri bimbi non sono annoiati. Anzi, lo sono ma non è solo questo il problema.
Questa situazione, infatti, non è pesantissima solo per noi che ci districhiamo tra la preoccupazione per i nostri cari più fragili, lo smart working (per chi ha ancora la fortuna di avere un lavoro) e lo smart schooling (per chi ha figli in età scolare). Questa improvvisa privazione della libertà sta inevitabilmente scatenando emozioni sempre più negative anche dentro di loro. Immobilità fisica a parte (altro problema sottovalutato in maniera vergognosa), davvero nessuno si è reso conto che da un giorno all’altro i nostri bambini hanno visto sparire dalle loro vite le loro maestre, vale a dire, quelle persone che si prendevano cura di loro per 8 ore al giorno, mentre noi eravamo al lavoro? Le maestre, davvero c’è ancora chi le considera solo delle insegnanti e non delle figure speciali e di riferimento per i nostri figli più piccoli quando noi non ci siamo? Le famiglie di alcuni nidi e di alcune scuole dell’infanzia, appellandosi alla tecnologia, si sono organizzate per provare a colmare questo vuoto relazionale facendo “incontrare” e “interagire” i bimbi tramite videochiamate e vocali in WhatsApp. Ai più piccoli però questo non basta più e forse non è mai bastato.
Senza contare che molte famiglie a settembre, mese in cui le scuole potrebbero riaprire, corrono il rischio di non ritrovare più il proprio nido (privato!) di riferimento aperto. Oltre il 40% di queste strutture infatti è in forte crisi a causa dei mancati introiti di questi mesi. Se non riceveranno un sostegno, a breve molte di loro non saranno più in grado di sostenere i costi di gestione e si vedranno costrette a chiudere i battenti. Perché nonostante i loro numerosissimi appelli nessuno è ancora accorso in loro aiuto? Eppure la presenza dei nidi privati sul nostro territorio è un qualcosa di fondamentale per numerose famiglie. La copertura dei nidi pubblici è attualmente insufficiente e in pochi riescono ad accedere a queste strutture. Non si può più pensare di gravare esclusivamente sulle famiglie, pretendendo che queste ultime continuino a pagare per un servizio di cui non stanno usufruendo. È fondamentale che chi di dovere soccorra anche le micro e le piccole imprese di questo comparto, altrimenti, il giorno del ricongiungimento tra i nostri figli e le loro maestre potrebbe non arrivare mai più. La “Fase 2” è alle porte. Ora più che mai è importate pensare anche ai bambini più piccoli. Dopotutto, il nostro futuro, erano e restano sempre e solo loro. I più piccoli.