«Sono state commesse atrocità»

La pedofilia è figlia del clericalismo (la lettera del papa al popolo di Dio)

La pedofilia è figlia del clericalismo (la lettera del papa al popolo di Dio)
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Una lettera indirizzata direttamente al popolo di Dio (qui il testo completo). Così Papa Francesco ha voluto ieri rompere tutti i residui indugi sulla drammatica questione della pedofilia che sta travolgendo la vita di tante comunità ecclesiali. Lo spunto è stato un rapporto di 1300 pagine dell’Investigating Grand Jury della Pennsylvania accusa 301 sacerdoti di aver abusato di oltre mille minori dagli Anni Quaranta in poi. Accise tutte molto circostanziate che stanno sollevando sconcerto tra fedeli e ovviamente nell’opinione pubblica.

 

 

Il clericalismo. Papa Francesco nella lettera esce dalle tante spiegazioni di carattere sociologico che cercano di individuare le radici di questo drammatico fenomeno e indica un preciso capo d’imputazione: “il clericalismo”. Scrive Francesco che il clericalismo è quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente». Il clericalismo come atteggiamento di una chiesa che si autolegittima senza bisogno di rispondere al “suo” popolo. Per questo Francesco ha fatto ricorso allo strumento inedito di una lettera indirizzata direttamente a tutto il popolo di Dio. Rispetto alla pedofilia perciò «tutto ciò che si fa per sradicare la cultura dell’abuso dalle nostre comunità senza una partecipazione attiva di tutti i membri della Chiesa non riuscirà a generare le dinamiche necessarie per una sana ed effettiva trasformazione».

Una lettera durissima. La scelta di Papa Francesco è doppiamente significativa: la lettera non usa solo toni che non lasciano spazi a nessuna scusa («Sono state commesse atrocità», scrive Bergoglio), ma ha come destinatario non la gerarchia bensì il popolo dei semplici cristiani. Per Francesco la gerarchia troppe volte è stata colpevole per aver sottovalutato la questione è quindi il popolo è l’unica garante affidabile affinché si finisca con la logica disastrosa dell’omissione, che in passato tante volte «è diventata una forma di risposta» ed è diventata copertura verso atteggiamenti che Bergoglio definisce di «bramosia». Al contrario non si deve avere timore di ricorrere alla logica della denuncia di ogni atteggiamento «che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona».

 

 

Il Popolo di Dio. Quindi la ragione per capire quello che è accaduto non va cercata in cause di ordine sociologico o culturale. La causa va cercata altrove. Dice Francesco con una franchezza che non lascia spazio a interpretazioni: queste cose accadono «ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare e di mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élite il Popolo di Dio». In questo modo «abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria e senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita».

Colpisce un’analogia tra Bergoglio e Paolo VI, il pontefice che non a caso lui sente più vicino e che proclamerà santo il prossimo 14 ottobre. Anche Montini nel pieno di una drammatica crisi della Chiesa ritenne di dover ribadire il fondamento della fede scrivendo quel testo memorabile che è Il Credo del Popolo di Dio. Oggi Bergoglio, nel ciclone di una crisi che ha un’emergenza di carattere morale ma che ha una radice ancora più profonda, sceglie di rivolgersi ugualmente al Popolo di Dio, come depositario di quel sensus fidei che è il cuore della Chiesa.

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