Dai successi ai cali di mercato

La portiera del Salone di Ginevra sbattuta in faccia alla Lancia

La portiera del Salone di Ginevra sbattuta in faccia alla Lancia
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La Lancia ci aveva trafitto il cuore, ci aveva fatto innamorare, e non vederla più scintillare tra una scocca cromata e l'altra, tra un lunotto di design e fari più ondulati di un deserto fa davvero un po' male. La storica casa italiana della belle époque dell'auto è stata fatta fuori dal Salone di Ginevra 2016 senza tante spiegazioni, hanno chiuso lo stand, spento gli abbaglianti e in sala è calato il buio sul marchio che ha ormai 100 anni. Appena un anno fa la Y stava lì, fiera, ciondolava in mezzo alle meraviglie tecnologiche e alle auto di lusso di nuova concesione. Quest'anno nemmeno quello, hanno deciso di porre fine all'agonia che ormai va avanti da un pezzo. Del resto l'aveva detto anche Sergio Marchionne che Lancia sarebbe rimasto un marchio «unicamente italiano», un modo per dire che di soldi non ce ne sono più, figurati quelli che occorrono per rilanciare un marchio di questa portata. Se ne va in silenzio un altro brand italiano, che era abituato a essere sotto i riflettori al più grande salone dell'auto, come riporta un articolo apparso su Lettera43.

 

 

Il suo fondatore, Vincenzo Lancia. L'azienda che porta ancora il suo nome la fondò Vincenzo Lancia, figlio di un piccolo imprenditore di carne in scatola. Prima collaudatore della Fiat, poi pilota, Lancia giovanissimo conquistò il primo successo della storia dell'azienda torinese nella Torino-Sassi Superga nel 1902. Fondò la Lancia quattro anni dopo e le cronache dell'epoca descrivono Vincenzo come un uomo meticoloso e attento, che selezionava i collaudatori facendogli superare il test della corda (o della fune). In pratica attaccavano una fune tra due macchine e il pilota doveva stare attento a seguire l'auto guidata da Lancia, che stava davanti, senza spezzare il cavo o, peggio, andare a sbattere. Da allora quel senso meticoloso la Lancia se l'è portato appresso sempre. Nel 1922 si inventò la Lamda con sospensioni indipendenti, nel 1937 l'Aprilia a quattro cilindri, e velocemente la Lancia divenne la casa più prestigiosa. Nel 1947, dopo la morte di Lancia, l'azienda passò nelle mani di Gianni, il figlio. Volle arrivare a competere in Formula1, ma nel 1955 Alberto Ascari, il suo pilota, morì a Monza. «La scuderia, in seguito alla morte del suo capitano, ha disposto di sospendere la sua attività agonistica», scrissero nel comunicato laconicamente torinese, la famiglia Lancia uscì dall'azienda: Gianni andò in Brasile per allevare bestiame. Il destino della Lancia passa in mano alla Ferrari e iniziò a vincere con Manuel Fangio, pilota mitico dell'era che fu. La comprò la Fiat e sul mercato lanciò modelli di tutti i tipi, alcuni davvero indimenticabili.

 

 

Successi e cali di mercato. Negli anni Ottanta viene lanciata la Y. «L’auto che piace alla gente che piace», come recitava lo spot. Il primo modello, la Y10 firmata da Autobianchi, nasce nel 1985: una citycar compatta e stilosa, che cambia il concetto di utilitaria con dotazioni di serie da “macchinone”. L'evoluzione è continua. Nel 2014 è stata la seconda auto più venduta del segmento B, con una quota di 13.1% e anche meglio all'inizio del 2015. Il marchio non viene più considerato come un tempo, però, e anche questo deve aver fatto il suo gioco. I cali sul mercato sono netti. Nel 2013 è uscita la cabriolet Chrysler 200 Convertible, nota anche come Lancia Flavia. Nonostante il maxi sconto di 13mila euro, la derivata Chrysler vende nel 2013 (fino a settembre) 225 esemplari. Ancora meno nel 2012: appena 218 unità. Nel 2015 Lancia ha venduto circa di 61.800 automobili in tutto il mondo, con un calo del 15% rispetto all'anno prima. Più nello specifico, il totale complessivo è diminuito di 10mila unità a causa della flessione registrata in quasi tutti i Paesi europei e nonostante la piccola crescita fatta segnare dall’Italia, il suo mercato più importante. Lancia dipende solo da un mercato (il nostro) e da un modello (la Y). Non è abbastanza, a quanto pare.

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