La resa dei conti fra Salvini e Conte e le quattro spine di Mattarella
È il giorno dello splash down: oggi davanti al Senato il premier Giuseppe Conte prenderà la parola per sancire la fine del suo governo dopo la sfiducia balneare ricevuta da Salvini. Non sarà un semplice discorso d’addio, ma una resa dei conti con il suo ministro degli Interni che ha silurato il governo per i troppi “no” che ne hanno impedito un’azione incisiva. Presumibile che Conte faccia al contrario un elenco dei “sì, cioè dei provvedimenti presi, rinfacciandoli al suo ministro. Dopo di che è presumibile che Conte, terminato il dibattito sul suo discorso, annunci di voler salire al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni. A quel punto la palla passa al presidente Sergio Mattarella. Una palla piena di spine.
La prima spina è quella delle elezioni. Matteo Salvini ha spinto l’acceleratore perché convinto che da una parte la convivenza con i Cinque Stelle era di giorno in giorno più impraticabile e dall’altra perché il risultato delle Europee non poteva non ingolosirlo. I sondaggi da un anno a questa parte continuano a premiare la Lega in modo sempre più convincente e quindi il leader ha pensato che fosse l’ora di passare all’incasso. Del resto, il ribaltamento degli equilibri elettorali evidenziato dal voto di maggio non aveva avuto il ben che minimo riscontro negli equilibri del governo gialloverde.
Ovviamente se Salvini vuole le elezioni, tutti gli altri vanno con il freno tirato. Per tutte le forze politiche diventa vitale prendere tempo, per evitare il rischio di un plebiscito per la Lega, tanto più che l’asse Lega Fratelli d’Italia si è molto rafforzato e garantirebbe risultati largamente superiori al 40 per cento dei consensi. Il summit della leadership Cinque Stelle nella villa di Grillo ha stabilito che l’alleanza con Salvini è definitivamente rotta, ma ha dato il via libera a cercare nuove possibili formule di governo. Curiosamente si è trattato di una decisione iper verticistica, e nessuno ha pensato di interpellare la base con le consultazioni sulla piattaforma di Casaleggio, come il movimento ha sempre fatto per tutte le scelte più strategiche. Evidentemente anche i Cinque Stelle stanno vivendo un mutamento di Dna, che fa sospettare, come ha detto Giulio Sapelli, sulla loro natura di forza politica eterodiretta.
La seconda spina di Mattarella è quella europea. È probabile che il punto di rottura tra le due forze di coalizione si sia consumato nel momento del voto per la nuova commissaria europea, Ursula von der Leyen. La Lega ha votato contro, mentre i Cinque Stelle si sono schierati con i “vecchi” partiti, Pd e Forza Italia che hanno dato l’ok. Da una parte Salvini con il suo “no” si è schierato con chi pensa che l’Europa debba andare oltre l’egemonia tedesca che ha vincolato tutti a politiche economiche anti espansionistiche. Era dunque un voto che intercettava le prime gravi difficoltà che la Germania stessa stava registrando: a furia di tenere a freno i conti e i consumi dei Paesi partner, l’industria tedesca ha dato segnali molto preoccupanti di crisi. Con una ricaduta anche sulle altre economie, italiana in particolare. L’errore di Salvini è di aver ritardato la decisione di rompere la coalizione, come ha sottolineato Giancarlo Giorgetti: avrebbe dovuto forse cogliere l’occasione di questo voto distinto per marcare la distanza e la differenza.
Non è un caso che ogi si parli di una possibile coalizione “ursula” proposta da Romano Prodi per portare al governo le forze che hanno votato la nuova commissaria; una coalizione che potrebbe avere ricadute importanti e consegnare la leadership europea alla Francia di Macron, Paese che negli ultimi anni ha mostrato atteggiamenti spesso “predatori” nei confronti dell’Italia in tante situazioni. Di questo Mattarella dovrà tenere conto.
La terza spina è quella delle politiche di migrazione. L’ennesimo braccio di ferro attorno al destino della nave della Ong spagnola Open Arms ha evidenziato l’insostenibilità di una situazione portata all’esasperazione, dove l’aspetto mediatico diventa dominante sulla pelle delle persone. Gran parte del suo consenso Salvini lo ha costruito sul tema della sicurezza e del controllo rigido dei flussi. È evidente che è una strategia che sta mostrando la corda. Ma una eventuale marcia indietro da parte di una nuova coalizione si tradurrebbe in ulteriore consenso al leader della Lega.
Infine c’è la spina americana. Difficile che un governo in Italia possa essere varato senza un semaforo verde da parte dell’amministrazione Usa. Ma anche in questo caso non siamo davanti a un potere univoco. Come ha spiegato sempre Giulio Sapelli, da una parte c’è Trump che certo vede bene il sovranismo di Salvini (anche se non gli perdona l’apertura alla Cina con i preaccordi per la nuova Via della Seta). Dall’altra c’è il potere finanziario che non aspetta altro che trovarsi davanti un Paese più indebolito per fare una campagna acquisti degli asset industriali più interessanti. Per Mattarella si prospettano notti senza sonno...