Per l'avvio dell'anno scolastico

Sapete una cosa, cari bergamaschi? La vostra è una buona scuola

Sapete una cosa, cari bergamaschi? La vostra è una buona scuola
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«Partiamo quest’anno con un percorso scolastico rinnovato che è stato chiamato “la buona scuola”. Io però ho sempre sostenuto che noi a Bergamo la buona scuola l’abbiamo sempre avuta». Patrizia Graziani è la dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale. Una donna minuta, di spiccata personalità, con le idee chiare e una dedizione totale per il compito che le è stato assegnato. È a Bergamo dal 2011 e da tre anni è anche reggente a Mantova, la sua città. Chi meglio di lei, per le sue competenze e il suo punto di osservazione privilegiato, può dare un giudizio puntuale sulla qualità della scuola bergamasca? Va da sé che parlandone male finirebbe per mettere in cattiva luce se stessa e il suo lavoro, ma “la dottoressa”, come la chiamano i suoi collaboratori, non è un dirigente statale di quelli preoccupati di autocelebrarsi o di difendere il proprio operato. La sua lunga esperienza le permette di dire ciò che pensa con sincerità.

Lunedì mattina, dopo che insieme al sindaco Giorgio Gori ha inaugurato l’anno nuovo in due scuole della città (una statale, la Donadoni di via Tasso, e l’altra paritaria, l’Imiberg di via Santa Lucia), ha accettato di rispondere alle nostre domande.

 

foto patrizia graziani

 

Dottoressa, lei pensa veramente che quella bergamasca sia una scuola di qualità?

«Lo dicono dati oggettivi. Noi abbiamo la possibilità di confrontarci con le altre province e da questo paragone emerge che le scuole bergamasche elaborano una vivacità di progetti e proposte in campo didattico decisamente superiore a quelle delle altre province. Le nostre scuole sono presenti a tutti i tavoli di lavoro regionale e partecipano da protagoniste a tutte le esperienze che vengono proposte».

Tutto merito di un terreno pronto a recepire?

«Sicuramente il territorio esprime un “carattere” e una storia favorevoli, ma abbiamo una buona scuola soprattutto perché abbiamo dei buoni insegnanti, preparati, competenti, appassionati e disponibili a cogliere tutte le occasioni per rinnovare la didattica e a offrire esperienze diverse e più ampie agli studenti. I nostri docenti non si fanno spaventare dal lavoro in più».

Che cosa l’ha tanto colpita?

«La grande partecipazione delle scuole a BergamoScienza, un’esperienza unica in Italia. Io arrivo da Mantova, la città del Festival della Letteratura: là le scuole non sono affatto coinvolte. BergamoScienza invece è una risorsa per le scuole, ma anche le scuole sono una grandissima risorsa per Bergamoscienza: vi partecipano 2500 studenti e ci lavorano 300 insegnanti. Sono numeri importanti».

Va bene BergamoScienza, e poi?

«La partecipazione dei docenti alle attività di formazione e di aggiornamento. Tutti gli anni – lo cito come esempio - viene presentato un corso di formazione sulla storia e i docenti che partecipano volontariamente vanno dai 200 ai 250, in tempi nei quali l’aggiornamento non è ancora né obbligatorio né riconosciuto. Avere voglia di rimettersi in gioco è un sintomo estremamente positivo. Penso poi al grande lavoro sulla prevenzione portato avanti con l’Asl che coinvolge migliaia di studenti e alle esperienze di alternanza scuola-lavoro che collocano Bergamo ai vertici delle classifiche europee: l’anno scorso sono stati interessati 9mila studenti di 37 istituti secondari superiori, tra cui anche i licei. E badi bene: tutto questo prima della riforma. A Bergamo c’è una grandissima collaborazione e capacità di fare partnership con il territorio. Non a caso è spesso citata come esempio positivo».

Che classe insegnante è quella bergamasca?

«Gli ultimi sondaggi ci dicono che è abbastanza giovane, nonostante l’età media generale sia elevata. E l’ultimo rapporto presentato da Tuttoscuola ha rivelato che i docenti bergamaschi sono quelli col minor numero di assenze a livello lombardo. I nostri insegnanti nella quasi totalità dei casi ci sono e lavorano sodo».

Pubblico e privato per lei pari sono?

«Per me sì. Statale e paritario fanno parte del sistema pubblico di istruzione».

E gestire i dirigenti scolastici è difficile?

«Sì. Abbiamo sempre avuto bravi dirigenti, ma purtroppo il loro lavoro li rende un po’ isolati. Governano gli istituti, ma anche se condividono le scelte con lo staff, la loro responsabilità è vissuta in solitudine. Abbiamo molti dirigenti appena immessi in ruolo e una cosa che dovranno imparare è a lavorare in gruppo, a mettersi in rete e condividere le esperienze. Avere un’elevata soglia di autostima è importante perché, quando ci si trova in un collegio di cento docenti, saper guidare ed essere propositivi, chiari e convincenti richiede autorità e autorevolezza insieme. Inoltre le scuole sono sempre più autonome e le decisioni vanno prese rapidamente. D’altra parte però la mancanza di confronto determina sempre incertezza. Da questo punto di vista il nostro ufficio offre un buon supporto, soprattutto sui contenziosi con le famiglie, che sono una delle partite più delicate».

Contenziosi con le famiglie ce ne sono tanti?

«Moltissimi».

Per le bocciature?

«C’è di tutto un po’. Perché i figli vengono bocciati, perché vengono promossi col 9 anziché col 10, perché non vengono compresi o perché non c’è stata l’insegnante di sostegno nominata il primo giorno, quando tutti sanno che questo non dipende da noi ma da un sistema alquanto complicato».

Il provveditorato è un ufficio reclami?

«Abbiamo anche un vero e proprio ufficio reclami. Ma pure tante soddisfazioni».

L’emergenza educativa è sempre forte?

«Ci sono tante fragilità familiari e genitoriali».

Contenta o stanca di essere a Bergamo?

«Sono contenta. È ancora un territorio che mi stimola e mi dà opportunità di lavoro interessanti».

Fra lei e Gori pare ci sia una bella sintonia.

«È raro trovare in chi è chiamato a guidare una città una sensibilità così accentuata verso il mondo della scuola. Il sindaco ci è sempre stato vicino, ha condiviso con noi gioie ma anche momenti delicati, sempre con la volontà di risolvere i problemi».

Che cosa si augura per quest’anno?

«Che riusciamo a portare avanti il progetto di innovazione in atto (preferisco non chiamarla riforma, perché non tocca gli ordinamenti) e far sì che i nostri ragazzi riescano a trovare risposte all’altezza dei loro desideri. La scuola bergamasca sta dando molto e spero che possa essere posta di più sotto i riflettori. Ecco, quello che vorrei è che ci fosse un ritorno in termini di riconoscimento sociale per il grande lavoro che la scuola bergamasca svolge. Mi piacerebbe molto che le venisse riconosciuto quello che le è dovuto, così da potersi esprimere a livelli ancora più alti».

Sta dicendo che i bergamaschi devono rendersi conto di un bene che c’è e spesso sottovalutano?

«Sì. Non solo i bergamaschi, anche il sistema».

 

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