GIULIANO COSTALUNGA

La sfida del prete gay sposato comincia in quel di Grassobbio

La sfida del prete gay sposato comincia in quel di Grassobbio
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Negli ultimi tempi il nome di Giuliano Costalunga è balzato al centro dell’attenzione mediatica. Lo scorso marzo il 48enne sacerdote veronese ha sposato il suo compagno Paolo alle isole Canarie e, com’era facilmente prevedibile, l’evento ha scatenato un tourbillon di polemiche e filippiche lanciate dal sacro pulpito dei social. Perché, secondo il coro degli indignati, quel matrimonio – come da tradizione manzoniana – non s’aveva proprio da fare. Ma c’è di più: a settembre don Giuliano tornerà a “dire Messa”. Lo farà in una chiesa vetero-cattolica, nientemeno che a Grassobbio. Dal suo buen retiro di Gran Canaria il diretto interessato ha risposto alla nostre domande, raccontando la sua storia e le motivazioni che hanno portato al ritorno.

 

Foto Sartori

 

Sveliamo subito il mistero: lei è ancora un sacerdote?
«Sono ancora un prete, perché l’ordinazione sacerdotale è un sacramento permanente che non si può cancellare. Ma per la Chiesa cattolica non lo sono più: sono stato sospeso a divinis perché, secondo loro, con il mio matrimonio ho provocato uno scandalo che ha danneggiato l’immagine della Chiesa. Nessuno però può vietarmi di sentirmi prete. Ho sempre vissuto con molta serenità il mio essere sacerdote e il mio essere omosessuale. Non ho chiesto la riduzione allo stato laicale perché questo equivarrebbe ad ammettere che ho sbagliato, mentre in coscienza sento di non aver fatto nulla di male».

Quando ha capito di voler cambiare radicalmente la sua vita?
«La consapevolezza della mia omosessualità è stata progressiva. Ho vissuto le normali tappe di comprensione della sessualità del periodo adolescenziale, ma quando ho scelto di dedicarmi totalmente alla mia vocazione ho sopito la mia indole. L’incontro con Paolo ha cambiato tutto. Era il 2008, stavo attraversando una storia di sofferenza e malattia e l’ho incontrato in ospedale, alla macchinetta del caffè. Col tempo, grazie anche al confronto con il mio padre spirituale, mi sono reso conto che quella bellissima amicizia si era trasformata in un vero amore. Così nel 2015 ho lasciato la guida delle mie parrocchie, per rispetto verso la gente e per fare chiarezza dentro di me».

 

foto Vanityfair

 

Da quel momento ha deciso di vivere la sua storia alla luce del sole.
«Non avevo nessuna intenzione di falsificare il mio amore, di viverlo in modo nascosto e segreto come spesso purtroppo avviene negli ambienti ecclesiali. Volevo essere onesto con me stesso, con la persona che amavo e con tutti coloro che mi conoscevano. Nessuno può togliermi l’amore per Dio, ma al tempo stesso nessuno può toccare il mio amore per Paolo».

A febbraio ha presentato la rinuncia al ministero presbiterale cattolico e il mese successivo c’è stato il vostro matrimonio. Una celebrazione di cui si è molto parlato, scoperchiando una volta di più il calderone delle incomprensioni tra molti gay e la chiesa Cattolica. Come ha vissuto queste polemiche?
«Sono stato prete per ventidue anni e conosco bene le dinamiche che si creano quando una figura ecclesiale compie scelte così forti e incisive. Quando è uscita la notizia mi sono trovato in mezzo a una valanga di provocazioni, ma allo stesso tempo ho ricevuto tantissimi attestati di solidarietà. Ho apprezzato molto il fatto che le persone che mi hanno conosciuto come prete abbiano capito che la mia scelta non era dettata da egoismo o disprezzo per la Chiesa, ma da un sentimento di puro amore. Spero che la mia storia possa aiutare le persone omosessuali che vivono con...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 37 di BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 9 agosto. In versione digitale, qui.

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