La spinosa e annosa questione dell'Italcementi di Calusco
Si è svolta giovedì 11 giugno, presso la sala consiliare del Comune di Paderno d’Adda, un’importante assemblea pubblica sulla questione Italcementi di Calusco. Il tema è assai spinoso e il comune di Paderno è da anni uno dei più attivi della bergamasca nel tentativo di sviluppare un discorso costruttivo con la grossa multinazionale del cemento. L’assemblea è stata promossa dal Movimento per la Decrescita Felice e ha visto la partecipazione di figure istituzionali come il sindaco Renzo Rotta, l’assessore all’ambiente Valentino Casiraghi e alcuni esperti in campo ingegneristico e medico, nonché – naturalmente – i membri del comitato.
Tanti anni di dibattito e pochi risultati. Dopo un preambolo del presidente del comitato Gianluca Redaelli, è l’assessore Casiraghi a prendere la parola. Viene fatto un sunto del percorso che il comune di Paderno ha tentato di portare avanti insieme agli altri enti coinvolti nella questione Italcementi. Dal 2008, quando la multinazionale del cemento ha richiesto di utilizzare CDR (combustibile derivato da rifiuti) nella combustione, i vari enti si sono trovati, coordinati da Agenda 21 dell’Isola, a discutere di buoni propositi e cercare di stilare dei documenti programmatici. Ma l’assessore afferma sconsolato che alla fine «si è giunti nel 2012 ad un accordo in cui Italcementi offriva 15mila euro ad ogni comune per la costruzione delle casette dell’acqua. Solo i comuni di Paderno d’Adda e Solza si sono rifiutati di firmare il documento». Insomma, tanti tavoli di lavoro ma pochissimi risultati per tutelare la salute dei cittadini. La beffa è doppia: il documento del 2012 prevedeva la rimessa in funzione dello scalo ferroviario presso il cementificio, ma ad oggi questo progetto è ancora tutto nelle ipotesi. Avrebbe quanto meno garantito una diminuzione del traffico dei camion nella zona.
Un incremento monstre. Nel 2013 il decreto Clini ha permesso ai cementifici di bruciare il CSS (combustibile solido secondario: plastiche, gomme, fanghi) classificandolo non più come rifiuti (CDR) ma di fatto come combustibile. Italcementi aveva già sostituito l’uso del pet coke (residui del petrolio) con quello del CDR per il 20 percento, ma nell’autunno 2014 si è aperta una prospettiva davvero preoccupante. Il cementificio di Calusco ha infatti richiesto di aumentare la combustione da 30mila tonnellate annue fino alla cifra enorme di 110mila. Per capire la portata di questi numeri, basti sapere che l’inceneritore di Valmadrera brucia tutti gli RSU (rifiuti solidi urbani) della provincia di Lecco, per un totale di 90mila tonnellate all’anno. Calusco brucerebbe ancora più rifiuti.
Gli enti si muovono. Il comune di Paderno, da sempre attentissimo alla questione, si è mosso immediatamente alla notizia. Dopo alcune risposte negative, ad esempio da parte del comune di Calusco che preferisce stare da solo, Paderno ha partecipato ad un incontro organizzato dalla presidenza della provincia di Bergamo, in cui sono intervenuti vari comuni e comitati. Si è quindi richiesto a Italcementi di stilare un documento integrativo che risponda ai diversi interrogativi degli enti, che poco dopo hanno incontrato anche le ASL di Lecco e Bergamo. La risposta è attesa entro la data del 9 luglio. Tra le richieste: la realizzazione del raccordo ferroviario, la spiegazione della filiera dei CSS, la limitazione delle emissioni di fumi, il miglioramento delle tecniche di abbattimento delle sostanze emesse. E ancora: attivare un documento della regione per la tutela della salute pubblica, aderire ad un protocollo EMAS.
[L'esplosione del 20 febbraio 2015]
Fumi nocivi, ma quanto? Non bastano i dati sulle emissioni, che evidenziano un progressivo aumento di certi elementi nocivi, per richiedere una diminuzione dell’attività di Italcementi. La questione è complessa: il cementificio rientra infatti nei parametri di legge per quanto riguarda le polveri emesse in relazione ai metri cubi d’aria. Tuttavia, ci sono altri elementi che non sono stati adeguatamente soppesati. Un esempio su tutti, presentato giovedì sera: gli inceneritori non dovrebbero sorgere nei pressi di un centro abitato, ma Calusco è un comune assai popoloso. Da parte loro, si potrebbe sottolineare che questo inceneritore è di nuova tipologia e produce meno inquinanti rispetto ai vecchi modelli. L’affermazione non ha però delle controprove di fatto misurate sulla salute dei cittadini, dato che servono parecchi anni per valutare i danni clinici legati alla presenza di un inceneritore. Altri punti interrogativi riguardano i camini secondari (come vengono filtrati quei fumi?) e i transienti, quelle fasi in cui il cementificio non funziona a pieno regime e non raggiungendo certe temperature (oltre 1500°) non smaltisce come dovrebbe certe sostanze nocive come la diossina. Infine, non bisogna dimenticare che questo non è un inceneritore, cioè non produce cenere; i resti della combustione finiscono direttamente nel cemento che poi viene usato per costruire le nostre case. Si dice che ormai le sostanze siano inerti, ma alcuni studi mettono in dubbio tale affermazione.
[La giornata Porte Aperte, 6 giugno 2015]
Studi epidemiologici. È questa la parola chiave. Tra le varie richieste poste a Italcementi c’è anche uno studio di questo tipo, che viene svolto dall’ASL. Tale ricerca non guarda tanto a quali e quante sostanze vengono emesse da un camino, ma misura in modo puramente statistico alcune malattie e le conseguenti morti che si sono verificate nell’area intorno all’inceneritore. Si vanno a sondare i dati inerenti alle malattie respiratorie, agli infarti, agli ictus, agli aborti, alle malformazioni, ai problemi di tiroide, di diabete e ai tumori. Questi studi permettono di individuare l’aumento percentuale di queste malattie nelle aree a rischio rispetto alle statistiche medie. Si ottiene un rischio relativo che indica quindi quando possono far male, in termini effettivi, i fumi di un camino.
Scarsa coesione. Non si possono pronosticare gli esiti di questo delicato dibattito. Già ottenere uno studio epidemiologico è un primo passo importante. Solo così si potranno avanzare proposte più stringenti per diminuire le quantità di fumi emessi, per apportare migliorie al filtraggio delle polveri, e tanto altro. In tutto questo, la cosa che desta maggiore perplessità è la posizione di Calusco. Dopo aver accettato nel 2012 la famosa casetta dell’acqua, anche di fronte allo spaventoso aumento di CSS combusti la reazione è all’insegna di una strategia diversa da quella della provincia e degli altri enti (sarebbe bello capire bene quale sia). Questa differenziazione ha impedito lo sviluppo di una forte coesione tra i comuni interessati al problema. Pur essendo accomunati dalle finalità, i percorsi intrapresi sono differenti e distanti.