La storia dietro il muro di Trump e il braccio di ferro con il Messico

Lo aveva detto ai quattro venti durante la campagna elettorale che a sorpresa lo ha poi visto vincitore. Difficile che una volta alla Casa Bianca Donald Trump potesse lasciar cadere quello che era uno dei punti simbolo del suo programma: costruire il muro lungo gli oltre 3mila chilometri del confine tra Usa e Messico.
Anche Clinton, Bush e Obama... Più che costruirlo, in realtà, si tratta di completare un’opera che paradossalmente era stata iniziata dal marito della sua rivale alle elezioni di novembre. Fu infatti Bill Clinton nel 1994 a dare il via ad un triplice progetto in California, Arizona e Texas per sbarrare i punti più caldi di transito di immigrati clandestini, in particolare il famoso confine tra Tjiuana e San Diego: una barriera di lamiera metallica sagomata alta tra i due e i quattro metri. Nel 2005 era partita un’altra offensiva parlamentare che arrivò a una risoluzione, la Secure fence act, che prevedeva la costruzione di ulteriori 1123 chilometri di muro. Allora il presidente era George W. Bush che mise la sua firma senza troppi patemi, visto che al Senato la risoluzione era stata approvata con 83 voti a favore e solo 16 contrari, e tra i democratici che avevano dato il loro assenso c’erano sia il futuro presidente Barack Obama che la futura mancata presidente Hillary Clinton.
Il rifiuto del Messico. Insomma quella alla costruzione del muro ha visto convergere democratici che la sostengono sotto banco e repubblicani che invece la sostengono con i megafoni. La sostanza non cambia moltissimo. In realtà Trump ha alzato un bel po’ i decibel del suo annuncio arrivando a chiedere al Messico di partecipare alla costruzione. Richiesta ovviamente rispedita al mittente dal presidente Enrico Peña Neto, attraverso un messaggio via Twitter. Trump non è tipo da incassare rifiuti, così ha alzato il tiro, spiegando che il Messico potrebbe pagare in altra forma: con una tassa sui prodotti che vengono esportati negli Usa.
Cosa dice il provvedimento. Ma cosa dice davvero il provvedimento che Trump ha firmato tra i primi atti della sua presidenza? In realtà il tono minaccioso contiene una sostanza più prudente: in 180 giorni, a partire dalla data dell’ordine, chiede di produrre uno studio completo sulla sicurezza del confine tra Usa e Messico che tenga conto non solo dell’attuale stato dell’arte, ma anche di tutti gli aspetti geofisici e topografici. Soprattutto il provvedimento chiede di verificare la disponibilità di risorse federali e statali non solo per la costruzione del muro ma anche per garantire un pieno controllo operativo e per mantenerlo.
Un mensaje para todos los mexicanos: pic.twitter.com/EFcNh7fQtm
— Enrique Peña Nieto (@EPN) 26 gennaio 2017
I costi dell'impresa. La variabile dei costi è anche una spia della confusione che regna sul progetto. I chilometri di confine tra Usa e Messico sono 3190. Un migliaio di questi sono già “protetti” da muro o recinzione, con la funzione di non far passare i veicoli. Trump ha fatto capire che il suo muro sarà di circa 1600 chilometri, mentre il resto del confine verrà sbarrato con elementi naturali. Sui costi dell’impresa i numeri sono molto vaghi. Trump ha detto che saranno sugli 8 miliardi. Ma la società di consulenza Bernstein ha detto che ce ne vorranno almeno 15, cifra confermata da un studio commissionato dal Washinton post che ha stimato 14 miliardi.
Intanto, sapete quanti sono i nativi messicani che vivono e lavorano regolarmente negli Usa? 11 milioni. Un po’ tardi tirar su muri...