L'accordo sul prezzo del latte che non salverà le piccole fattorie
È stato trovato l'accordo sul nuovo prezzo del latte tra Lactalis e i produttori: 36+1 centesimi al litro, con un aumento di 3 centesimi rispetto ai precedenti accordi. Immaginiamo la reazione di tanti allevatori di fronte alla notizia, buona ma non ottima, di giovedì 26: avranno sbuffato, tirato qualche imprecazione e poi saranno tornati al solito, duro lavoro. Il problema non è nuovo, il prezzo del latte infatti è rimasto sempre molto simile nel corso degli ultimi 25 anni. E non è quindi un caso che negli ultimi mesi si sia sentito di centinaia di aziende agricole che chiudono; nel 2015 sono state mille. La questione è diventata ancor più spinosa lo scorso aprile, quando dopo anni di polemiche e multe salate, sono state eliminate le quote latte, cioè quel parametro che diceva ad ogni produttore quanto latte poteva produrre al massimo.
Lavorare per perderci. Tra i politici, Salvini è stato quello più duro sulla questione: «Oggi a Roma un'altra fregatura per gli Allevatori italiani. [...] infatti andranno 36 centesimi per ogni litro di latte prodotto, a fronte di un costo di produzione di 40 centesimi. Lavorano e mungono per perdere, pazzesco... E al supermercato un litro di latte costa 1,40 euro al litro!». Probabilmente Salvini esagera, non è accertato il costo di 40 centesimi per produrre un litro di latte; dipende molto dalla gestione della singola azienda, da quanto fieno produce in proprio l'allevatore e quanto ne compra da altri; dipende certamente anche da quanto mangime si dà agli animali e ovviamente da quali investimenti sono stati fatti nella struttura della stalla. È impensabile ad esempio aprire oggi una piccola fattoria: troppi costi elevati rispetto ai guadagni.
Dati alla mano. Resta però evidente che l'andamento del prezzo di questo prodotto non abbia seguito nemmeno lontanamente la crescita dei costi legata all'inflazione. Su Clal.it si trova una tabella coi prezzi dal 1976 ad oggi: fino al 1989 gli incrementi sono stati corposi, portando da 10 centesimi a quasi 30. Il problema arriva dopo: dal 1990 ad oggi il prezzo è rimasto quasi sempre sulle stesse cifre, con qualche sbalzo in su, seguito da nuovi cali. Ma guardando le tabelle di confronto ad esempio tra il prezzo del latte alla stalla in Usa, Germania e Nuova Zelanda appare evidente che comunque le cifre di cui si parla sono sempre più o meno quelle. Eppure ad esempio in Germania la vita costa di più che in Italia; evidentemente il settore agricolo tedesco ha imparato a ottimizzare le spese molto meglio di noi.
La guerra del latte. L'offerta iniziale per dicembre-gennaio-febbraio a 32,9 cent ha fatto scatenare un guerra nel mese di novembre tra Lactalis (gruppo francese che ha rilevato Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli) e i produttori italiani. La protesta ha visto il blocco del magazzino di Ospedaletto Lodigiano da parte di Coldiretti, oltre ai presidi davanti ai supermercati, e in risposta è arrivato lo stop al ritiro del latte da parte dell'azienda francese. Il 12 novembre si era tentata una soluzione portando l'offerta a 35 centesimi e togliendo l'indicizzazione al prezzo tedesco per alcuni contratti. Sì, la cosa più strana di tutta la faccenda è che in Germania il latte lo pagano ancora meno: 29 centesimi. E proprio l'indicizzazione coi prezzi tedeschi aveva portato all'iniziale cifra di 32,9 cent per i prossimi tre mesi.
I fondi europei. Per arrivare a una pace temporanea, firmata il 26 novembre, è dovuto intervenire anche il governo, stanziando 25 milioni di euro di fondi europei del 2016 proprio per sostenere gli allevatori. Si spiega così l'accordo finale a 36+1 centesimi: quel centesimo sarà dato dal governo. Il Ministro Martina si dice soddisfatto, ma sono ormai anni che il settore lattiero italiano si regge in parte sulla stampella dei finanziamenti pubblici o agevolazioni sulle tasse, spesso perché la concorrenza coi prezzi di altri Paesi europei è durissima.
Il problema delle quote. I prezzi bloccati da 25 anni non sono l'unico problema per gli allevatori, soprattutto quelli piccoli. Le quote latte, introdotte nel 1984 per limitare la sovrapproduzione, sono state annullate lo scorso aprile, dopo decenni impiegati a pagare le multe che venivano comminate nel caso in cui lo Stato avesse superato la sua quota complessiva. Il problema era che all'Italia fu assegnata una quota pari alla metà della sua domanda interna, mentre a Stati come Olanda, Irlanda e Germania quote ben superiori. Il peccato è originale insomma.
Adesso, con l'abolizione delle quote, il mercato diventa ancor più difficile. La tendenza sarà quella della scomparsa delle piccole fattorie, che non riusciranno a reggere il confronto con le grandi stalle, che ora possono espandersi senza limitazioni di sorta. Scomparendo le quote, ognuno può produrre quanto latte vuole, ovviamente a patto che le centrali glielo ritirino. Il problema competitivo sarà più pressante anche a livello nazionale. Aveva parlato in merito Gianni Fava, assessore all'Agricoltura della Lombardia: «Stare al passo con gli Stati europei più competitivi, come Francia, Germania e Irlanda, che producono di più a costi più bassi, non sarà facile». I problemi di queste settimane con Lactalis sembrano confermare le previsioni di Fava.