La fine del pacifismo del Giappone

Settant'anni dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, quella che finì nel peggiore dei modi per il Giappone, con le due bombe atmomiche su Hiroshima e Nagasaki, Tokyo potrebbe dire addio alla sua vocazione pacifista. La Camera bassa nipponica ha infatti approvato due disegni di legge volti a modificare la Costituzione del Paese, scritta dagli americani durante il periodo di occupazione successivo alla sconfitta nipponica. In particolare la modifica riguarda l’articolo 9, quello in cui il Paese dichiara il suo pacifismo assoluto, che non ha eguali al mondo.
L’articolo 9 della Costituzione Giapponese. Si tratta di quell’articolo che per ben due volte, nel 2013 e nel 2014, ha candidato il popolo giapponese al Premio Nobel per la Pace. E recita testualmente: «Il popolo giapponese, aspirando sinceramente alla pace tra le nazioni fondata sulla giustizia e sull’ordine, rinuncia per sempre alla guerra quale diritto sovrano dello Stato» e, pertanto, sul suolo giapponese «non saranno mantenute forze militari terrestri, marine o aeree, o altre forze militari difesa nazionale». Voluto dagli Stati Uniti per evitare un rigurgito nazionalista dell’impero e legare indissolubilmente Tokyo a Washington, l’articolo ha avuto due funzioni principali. La prima era impedire al Giappone di dotarsi di forze armate offensive, in grado, cioè, di intervenire in contesti che esulino dalla difesa nazionale. La seconda, considerata più limitante e, in certo qual modo, rassicurante per le nazioni che nel passato hanno subito la colonizzazione giapponese, obbligava l’impero a non inviare forze militari al di fuori dei propri confini territoriali.
Una scelta che non piace al popolo. Ma con la nuova legge le Forze di Autodifesa giapponesi potranno essere autorizzate, in situazioni specifiche, a intervenire fuori dai confini nazionali, in soccorso di alleati, anche in mancanza di un attacco diretto al Paese. Una mossa che cambia la posizione del Paese nello scenario geopolitico ma che potrebbe portare non pochi problemi al premier Shinzo Abe nel rapporto con l’elettorato, che è sceso in piazza a suon di proteste per una decisione che non condivide. I sondaggi dicono che oltre il 50 percento degli aventi diritto non è d’accordo con la scelta del premier. Addirittura un uomo a Tokyo si è dato fuoco in segno di protesta nei confronti dell’abolizione di quello che molti ritengono essere la pietra fondamentale dell’etica nazionale, nata dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale.
La spesa militare altissima. Il Giappone è la seconda forza navale del Pacifico, inferiore solo alla massiccia presenza globale da parte degli Stati Uniti. Inoltre, secondo i calcoli dell’International Institute for Strategic Studies, è anche il Paese con la nona spesa militare al mondo, pari a poco meno di 48 milioni di dollari, una cifra corrispondente a circa l’1 percento del suo Pil. Il potenziale bellico di Tokyo è già tra i maggiori al mondo, se non per quantità, sicuramente per qualità. Le Forze di Autodifesa sono tecnicamente, in tutto e per tutto, vere e proprie forze armate, capaci di colpire qualsiasi nazione limitrofa oltre i confini marittimi giapponesi.
Le due versioni della legge. La prima bozza della nuova, controversa, legge sulla sicurezza nazionale, cercava di rispettare il concetto originario secondo cui veniva dichiarata la “non aggressività” dei soldati giapponesi, e prevedeva soltanto di allargare le attività di operazioni umanitarie dell’esercito anche a operazioni non approvate dalla comunità internazionale. Tuttavia, lo scorso luglio 2014 il governo guidato da Abe ha rimosso i paletti costituzionali e ha dato il via libera a una vera e propria rivoluzione “militarista” del Paese, che mira a riportare le truppe del Sol Levante a essere un esercito in piena regola. Dopo il 1945 nessun soldato nipponico era stato impiegato in missioni senza un mandato delle Nazioni Unite. Per di più, nessuno era mai stato impiegato in zone di conflitto, ma solo in missioni a scopo umanitario in zone considerate sicure, a basso rischio di scontri a fuoco.
Cosa dice la bozza definitiva. A conclusione dell’iter legislativo che ha visto un forte dibattito interno alla società giapponese, il Parlamento ha approvato che i soldati giapponesi possano combattere fuori dal territorio nazionale se «il Giappone, o un suo stretto alleato sono sotto attacco», quando «non vi sono altri mezzi appropriati per respingere un attacco e garantire la sopravvivenza del Giappone e la protezione della sua gente», e che «l’utilizzo della forza sia mantenuto al minimo necessario». Adesso la palla passa alla Camera Alta per l’approvazione definitiva, ma si pensa che il voto non incontri molti ostacoli, dal momento che lì Abe gode di una comoda maggioranza.
I precedenti. Per la verità non è la prima volta nella storia del Giappone moderno post-bellico che la Costituzione pacifista subisce tentativi di reinterpretazione strumentali alle necessità politiche del momento. Già nel 2003 l’allora Primo Ministro Junichiro Koizumi aveva tentato (con successo) di forzare l’interpretazione costituzionale per far approvare l’invio di truppe in Iraq, come supporto di peacekeeping all’alleato statunitense. Mentre risale addirittura al 1959 la vicenda giuridica del cosiddetto caso Sunagawa, in cui venne messa in discussione la stessa costituzionalità della presenza militare americana nel territorio giapponese.