Sconto di pena

L’anziana uccisa a Torre de’ Busi A Guzzetti 22 anni in appello

L’anziana uccisa a Torre de’ Busi A Guzzetti 22 anni in appello
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Omicidio di Sogno: Guzzetti condannato a 22 anni di carcere in appello. La sentenza è arrivata nella giornata di ieri, martedì 23 aprile 2019. I giudici  Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno ritenuto colpevole l’uomo, ma gli hanno concesso uno “sconto” di due anni rispetto alla pena che gli era stata inflitta in primo grado. Roberto Guzzetti, 62 anni, residente a Lecco,  unico imputato per l’efferato omicidio di Maria Adeodata Losa, 87 anni infatti in primo grado era stato condannato a 24 anni di carcere . La pensionata era stata trovata morta a giugno del 2016, nella sua casa di Sogno, frazione di Torre dè Busi, dalla nipote Cristina Bonacina.

Faceva la governante. Dopo aver trascorso una vita a fare la governante in una famiglia di Lecco prima e della Milano bene poi, Maria Adeodata era tornata nella piccola frazione di Torre de’ Busi circa 10 anni prima il tragico omicidio, per accudire la sorella Leonilde, che di anni ne aveva 96 ed era ormai costretta a letto. Il 9 giugno del 2016 si era consumato l’assassinio di Maria Adeodata per mano del lecchese Roberto Guzzetti. A trovare la donna di 87 anni, ferita a morte da numerose coltellate, era stata la nipote, Cristina Bonacina, allora 41enne e campionessa internazionale di Vertical running, solo due giorni dopo l’omicidio. Quando ha aperto alla porta, insospettita dalla mancata risposta della zia, si era ritrovata davanti un’immagine agghiacciante: Maria Adeodata riversa a terra in cucina in un lago di sangue.  A inchiodare Guzzetti erano state le impronte digitali insanguinate lasciate sulla tovaglia di plastica nella cucina di Maria Adeodata Losa.

Il movente. In una prima versione Guzzetti raccontò di avances sessuali da parte della anziana, che dopo il rifiuto si sarebbe auto-accoltellata. Poi ritrattò. «Soffre di atrofia cerebrale e di una serie di disturbi derivanti da un passato fatto di abusi sessuali, Aids, chemioterapia, la sofferenza per la morte del fratello e l’estremo controllo dei genitori», hanno commentato le avvocatesse della difesa, richiedendo, oltre all’assoluzione, anche un’ulteriore perizia psichiatrica, rigettata dalla Corte. Il movente, ora, sarebbe da ricercarsi in un raptus d’ira, lo sfogo della rabbia forse covata per decenni nei confronti dei genitori.

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