Crudeltà senza fine

L'atroce fine del pilota giordano e la vendetta di re Abdallah

L'atroce fine del pilota giordano e la vendetta di re Abdallah
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Un orrore senza fine che non è possibile descrivere né tantomeno ricondurre ad alcuna pratica bellica. L’Isis ha bruciato vivo Muad alKasaesbeh, il pilota giordano, e ha diffuso il barbaro video della sua esecuzione. Una scena apocalittica, raccapricciante, che preferiamo non descrivere per rispetto alla persona morta. Ci limitiamo a dire che il pilota sarebbe stato dapprima bruciato vivo in una gabbia, poi sepolto da un bulldozer sotto le macerie. 22 minuti di orrore pubblicati per intero sul sito alFurqan, che molti considerano essere il sito ufficiale del califfato. Persino la tv AlJazeera, che per prima ha dato la notizia della diffusione del barbaro video, ha evitato di mostrarlo perché troppo macabro, anche per gli standard dell’Isis. La propaganda jihadista ha dichiarato che il pilota giordano è morto bruciato come tutte le vittime dei raid aerei della coalizione.

L’autenticità del video, che è stato pubblicato con un collage di frame sul sito di Rita Katz, il Site, la principale organizzazione per il monitoraggio dei siti web degli jihadisti, è ancora tutta da verificare. Si tratta di un video ben diverso da quelli, altrettanto macabri, dei tagliagole a cui il boia John e i terroristi al soldo di alBaghdadi ci avevano abituato in questi mesi. Del resto, come diceva il poeta tedesco Heinrich Heine, «là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini». E nei giorni scorsi l’Isis ha bruciato i libri delle biblioteche di Mosul.

 

[Il padre del pilota ucciso]

 

La versione giordana. La Giordania ha fatto sapere che Muad alKasaesbeh, catturato la vigilia di Natale dopo che il suo aereo era stato abbattuto mentre era in missione, sarebbe stato ucciso il 3 gennaio scorso, e che la famiglia era stata avvisata della pubblicazione delle immagini. La notizia della morte del pilota era già stata diffusa da una tv iraniana all’inizio di gennaio, ma non aveva trovato conferma. Le sorti del pilota, che apparteneva a un importante clan ashemita vicino alla famiglia reale giordana, sono tornate al centro dell’attualità internazionale con la vicenda dei due prigionieri giapponesi, entrambi decapitati. AlKasaesbeh era stato fatto rientrare nell’ambito dello scambio di prigionieri volto alla liberazione del reporter Kenji Goto e di Sajida alRishawi, la terrorista legata ad alQaeda che si trovava nelle carceri giordane dal 2005. Più volte il governo giordano ha chiesto agli jihadisti di avere notizie in merito allo stato di salute del suo pilota, ma l’Isis ha sempre glissato. Solo la scorsa settimana i miliziani avevano detto che avrebbero ucciso alKasaesbeh se la Giordania non avesse rilasciato Sajida. Sembrava fatta, addirittura alJazeera aveva annunciato la liberazione del giapponese, del pilota e della donna e che tutti rispettivamente erano già sulla via di casa. Ma le autorità, sia giordane sia giapponesi, avevano smentito ogni accordo. Alcuni ritengono che Amman abbia sempre saputo che il pilota era morto dal 3 gennaio e che la scelta di accettare una trattativa fosse solo in linea di principio, viste le pressioni delle autorità giapponesi per il rilascio del reporter.

Dura reazione. In risposta all’uccisione del suo pilota, sull’onda della rabbia, dello shock, dell’incredulità per la brutalità dell’esecuzione, la Giordania nella notte fra martedì e mercoledì ha giustiziato Sajida alRishawi, la donna irachena accusata di aver compiuto un attentato ad Amman nel 2005 e per questo condannata alla pena capitale, poi sospesa per la moratoria introdotta in Giordania nel 2006. Sajida avrebbe dovuto far parte dello scambio di prigionieri per liberare il pilota giordano e il reporter giapponese, ucciso lo scorso venerdì. A comunicare la notizia dell’esecuzione è stato un portavoce del governo, che ha annunciato l’esecuzione anche di un altro prigioniero, Ziad alKarbouli, collaboratore di Abu Musab alZarqawi catturato nel 2006, e ha promesso di giustiziare altri quattro condannati nelle prossime ore. Senza scendere nei dettagli, il portavoce del governo ha annunciato una repressione dura e forte, che non si farà attendere.

 

 

Difficile situazione per il re. Intanto re Abdallah II, che era in visita negli Stati Uniti, è rientrato di corsa ad Amman e ora dovrà fronteggiare una situazione non semplice per il suo regno, uscito finora indenne dai venti di primavera soffiati in tutto il Medio Oriente, ma che ha criticato la scelta di entrare in una guerra che non le appartiene. La Giordania è considerata uno Stato cuscinetto per la sicurezza di Israele e per le speranze di pace nell’area, e per reagire alle proteste di piazza che periodicamente hanno luogo dal 2011, sono state attuate una serie di riforme, spesso di facciata, tra cui emendamenti della Costituzione, creazione di una Corte Costituzionale e nuove elezioni parlamentari e municipali. Per fronteggiare l’emergenza profughi in fuga dalla Siria, che hanno provocato un aumento della popolazione del 10%, re Abdallah II è stato costretto a dipendere sempre di più dagli aiuti esterni, primi fra tutti quelli degli Stati Uniti e delle petromonarchie del Golfo, che colgono l’occasione per fare pressioni di tipo politico e ideologico a loro vantaggio. Per ritirarsi dalla coalizione, come alcuni avevano previsto nei giorni scorsi e sono stati poi smentiti dallo stesso re, è forse tardi. E le pressioni degli jihadisti sulle sacche di populismo beduino non vanno sottovalutate. Con il rischio di far precipitare il Paese in una situazione di instabilità interna da cui l’unico a trarre vantaggio sarebbe alBaghdadi.

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