Qui Canberra spedisce i suoi profughi

L'Australia grida: «Chiudete Nauru» Un inferno nelle acque del Pacifico

L'Australia grida: «Chiudete Nauru» Un inferno nelle acque del Pacifico
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Nauru è uno Stato-isola diventato un campo profughi. È la Repubblica più piccola del mondo, indipendente dal 1968, si estende per 21 chilometri quadrati e conta 14.500 abitanti, di cui il 35% ha meno di 15 anni, dato che rende l’età media della popolazione di 66 anni. Il 71% di loro è obeso. Nauru, che non ha esercito e che a livello diplomatico vede sul suo suolo soltanto le ambasciate di Cina e Australia, sorge nell’Oceano Pacifico, in Australia, 42 chilometri a sud dell’Equatore, e da qualche giorno è al centro di un’accesa polemica da parte della popolazione australiana, che a Sydney e Melbourne è scesa in piazza per chiedere una riforma delle leggi in materia di immigrazione.

 

 

Il motivo scatenante delle ultime proteste. Al grido «Liberate i rifugiati» gli australiani hanno chiesto la chiusura dei centri di detenzione dell'isola. L’occasione di scendere in piazza è stata data alla popolazione dall’ultimo scandalo che arriva da Nauru: una donna somala di 23 anni detenuta nel campo profughi ha denunciato di essere rimasta incinta dopo aver subito violenza da parte di persone appartenenti alla comunità locale. La donna aveva chiesto di essere trasferita in Australia dal momento che l’aborto è illegale sull’isola, anche per i casi di stupro.

 

 

Le leggi australiane in materia di immigrazione. Il grande campo che accoglie i profughi è nato nel 2001 nell’ambito del progetto Pacific Solution, un’operazione che fa parte delle leggi in materia di immigrazione australiane, note per la loro severità, varate nel 1958 e integrate nel 2012, con lo scopo di dissuadere i profughi a pagare i trafficanti e affrontare viaggi in mare molto pericolosi per raggiungere l’Australia. Un modello di legge molto decantato in un Occidente alle prese con le ondate di immigrazione difficile da controllare, che è costato al Paese oceanico nell’anno fiscale 2013/14 circa due miliardi di euro a fronte di un flusso migratorio dieci volte inferiore rispetto a quello che interessa l’Italia negli ultimi anni, che al governo Italiano è costato, solo per l'operazione Mare Nostrum, 108 milioni di euro in un anno. Inoltre, il modello australiano è stato oggetto di scandalo poco prima dell’estate, poiché la polizia indonesiana ha stilato un rapporto secondo cui alcuni funzionari governativi australiani avrebbero pagato 5mila dollari ad alcuni scafisti affinché dirottassero verso l’Indonesia 65 richiedenti asilo intercettati in acque australiane.

 

 

I profughi dirottati sulle isole della Micronesia. I profughi richiedenti asilo in Australia non possono entrare nella zona marittima sotto il controllo australiano, ma vengono direttamente rinviati verso nuovi centri di detenzione in isole vicine. Nauru è la principale di queste isole e la Pacific Solution, in soldoni, prevedeva il respingimento dei barconi, oltre alla detenzione dei richiedenti asilo in centri offshore, che secondo i piani avrebbero dovuto essere case moderne dotate di aria condizionata. In realtà sono stati costruiti solo campi profughi, dove i richiedenti asilo vengono confinati finché le loro domande non vengono prese in considerazione.

La vita dei rifugiati a Nauru. Le tempistiche si aggirano attorno ai 18 mesi, al termine dei quali i richiedenti asilo spesso vengono fatti insediare sull’isola con tutti i conseguenti problemi legati all’integrazione, per loro e per gli abitanti locali che parlano solo nauruano. Inoltre i rifugiati che hanno ottenuto lo status e vivono a Nauru sono discriminati sia dalla popolazione locale sia dalla legge, perché è vietato loro mettere piede in scuole, ospedali, al porto e all'aeroporto.

 

 

Le condizioni di vita nei campi. Nauru è al collasso e il suo grande centro di detenzione sono sotto i riflettori da anni per le drammatiche condizioni di vita dei profughi che vivono al suo interno. A fine agosto si contavano 1.589 richiedenti asilo, di cui 1.382 uomini, 114 donne e 93 bambini. Tantissimi gli apolidi, e poi iraniani, cingalesi, afghani. Vivono ammassati in tende la cui capienza massima è di 22 persone, fatte in vinile, materiale che cattura l’umidità e che garantisce il surriscaldamento nelle giornate di sole. Quando piove, invece, si allagano. Condizioni di vita talmente degradate che nel 2003 alcuni gruppi di immigrati fecero uno sciopero della fame in segno di protesta. Amnesty International, che insieme ad alcune agenzie dell’ONU e altre Ong si è vista rifiutare più volte il permesso per accedere al campo, ha denunciato più volte che a Nauru i centri di accoglienza non sono in grado di assicurare le condizioni minime di salute e di sanità mentale.

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