impegnati in 43 missioni in tutto il mondo

Il lavoro oscuro e pericoloso delle forze speciali dell’Esercito

Il lavoro oscuro e pericoloso delle forze speciali dell’Esercito
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Ci si ricorda di loro quando accadono fatti come quello di ieri: cinque militari italiani sono rimasti feriti nel Kurdistan iracheno, per un attentato con ogni probabilità architettato dall’Isis. I cinque militari fanno parte del contingente italiano (1.112 soldati) inquadrati nella coalizione anti Daesh della Nato in Iraq. Alcuni sono arruolati nel Comsubin, acronimo che sta per «Comando raggruppamento subacquei e incursori»: un corpo speciale della Marina; altri fanno parte del 9° Reggimento d’assalto paracadutisti «Col Moschin», l’unico reparto incursori delle forze speciali dell’Esercito. La loro missione è di anti terrorismo e proprio del terrorismo sono rimasti vittime. È il primo segnale lanciato dalle forze islamiche contro le forze occidentali da quando gli americani hanno annunciato il loro disimpegno, lasciando via libera alla Turchia per la sua offensiva «Fonte di pace». Le cellule dell’Isis libere dal doppio controllo dei Marines e dei guerriglieri del Rojava (il Kurdistan occidentale) si sono evidentemente rimesse in moto.
L’Italia è impegnata in ben 43 missioni in tutto il mondo, con oltre 7mila uomini impegnati. Tanto che il presidente Mattarella in visita alla Casa Bianca qualche settimana fa ha voluto ricordare a Donald Trump come il nostro sia il secondo Paese della Nato, per numero di uomini impegnati in scenari di guerra, con missione di peacekeeping o di addestramento delle forze locali (mentoring and training): oggi sono esattamente 7.343 le persone impegnate su quei 43 fronti in 22 Paesi diversi, contro i 7.967 dello scorso anno. Il costo totale di queste missioni è di 1,1 miliardi di euro, che incidono su una spesa per la Difesa che è tra le più basse dei Paesi Ue (spendiamo l’1,15 % del Pil).

 

A luglio è stato approvato il decreto che ha autorizzato il rinnovo delle nostre missioni militari. Ma dove sono in particolare i nostri soldati? Il contingente più importante è quello impegnato in Libano: 1.125 militari all’interno della missione Unifil che ha come obiettivo quello di presidiare la blue line, la linea di confine con Israele. È una missione che viene definita a «bassa intensità ma ad alto rischio»: si tratta cioè di zone percorse da conflitti latenti. La missione più delicata è senza dubbio quella in Libia, dove l’Italia è presente con 429 uomini, con un peso crescente com in Iraq delle Forze speciali: il contingente si trova a Misurata, schierato con il governo riconosciuto dall’Onu di al Serraj. Dal 4 aprile scorso, data di inizio della nuova guerra libica, la città è stata più volte attaccata dall’aviazione del generale Haftar. La Libia ha anche un fronte mare, con 35 militari impegnati in attività logistiche e addestrative.
Un’altra missione delicata è quella voluta da Paolo Gentiloni, quando era ministro degli Esteri con il governo Renzi, per presidiare il confine sud della Libia, impegnando quasi 300 militari in Niger. In realtà la missione non è mai decollata pienamente e le forze italiane sono ferme nella capitale Niamey per contrasti con i francesi che le vorrebbero impegnate anche sul fronte di combattimenti, cosa che per legge le forze italiane non possono fare. Ci sono anche missioni molto ridotte nei numeri: tre militari italiani sono impegnati nella Repubblica Centrafricana, per la missione Eutm Rca: forniscono consulenza strategica al ministero della Difesa e allo Stato maggiore della Repubblica centrafricana, nonché istruzione agli ufficiali e sottufficiali e formazione alle unità delle Forze armate.

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