25mila migranti da inizio anno

L'Odissea in mare dei Rohingya «I più perseguitati al mondo»

L'Odissea in mare dei Rohingya «I più perseguitati al mondo»
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Anche nell’Oceano Indiano, come nel Mar Mediterraneo, le acque sono solcate da barconi carichi di uomini e donne che fuggono in cerca di una vita migliore. L’Onu ha denunciato il pericolo che queste imbarcazioni diventino “bare galleggianti”. Le coste di Thailandia, Indonesia e Malesia, sono le mete verso le quali i migranti cercano riparo. Fuggono dal Myanmar (Birmania) occidentale, dove non gli viene concessa la cittadinanza e non gli vengono riconosciuti i diritti fondamentali. Altri partono dal Bangladesh. L’Acnur, l'agenzia dell'Onu per i rifugiati, ha stimato che dall'inizio di quest'anno siano circa 25mila i Rohingya e i bangladeshi che hanno traversato la baia del Bengala su barconi: il doppio di quelli transitati nello stesso periodo del 2014. Pare che i numeri siano saliti dopo che la Thailandia ha preso misure per fermare il traffico di migranti verso la Malesia sui percorsi già consolidati via terra.

Le immagini diffuse da Al Jazeera. Solo nell'ultima settimana si sono imbarcate circa cinquemila persone. Qualcuno si è tuffato in mare alla ricerca di cibo, perché a bordo non ci sono né viveri né acqua. Ma né Malaysia né Thailandia finora si sono fatti impietosire dalle immagini diffuse da un giornalista thailandese, e riprese da Al Jazeera e dalla Bbc: volti scarniti, orpi arsi dal sole, disperazione che alberga negli sguardi. I barconi però rimangono alla deriva, ed è forte il rischio di morire di sete, di fame, di malattie. Nemmeno gli appelli dell’Onu ai Paesi interessati sono finora andati a buon fine.

Indonesia Rohingya Boat People
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Migrants sit on their boat as they wait to be rescued by Acehnese fishermen on the sea off East Aceh, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Indonesia and Malaysia agreed Wednesday to provide temporary shelter to thousands of migrants believed to be stranded at sea, a potential breakthrough in the humanitarian crisis confronting Southeast Asia after weeks of reluctance by the region's nations to take responsibility. (AP Photo/S. Yulinnas)

APTOPIX Indonesia Rohingya Boat People
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Migrants wait to be be rescued by Acehnese fishermen on their boat on the sea off East Aceh, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Indonesia and Malaysia agreed Wednesday to provide temporary shelter to thousands of migrants believed to be stranded at sea, a potential breakthrough in the humanitarian crisis confronting Southeast Asia after weeks of reluctance by the region's nations to take responsibility. (AP Photo/S. Yulinnas)

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Rescued migrants weep upon arrival Simpang Tiga, Aceh province, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Hundreds of migrants stranded at sea for months were rescued and taken to Indonesia, officials said Wednesday, the latest in a stream of Rohingya and Bangladeshi migrants to reach shore in a growing crisis confronting Southeast Asia. (AP Photo/Binsar Bakkara)

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Migrants sit on their boat as they wait to be rescued by Acehnese fishermen on the sea off East Aceh, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Hundreds of migrants stranded at sea for months were rescued and taken to Indonesia, officials said Wednesday, the latest in a stream of Rohingya and Bangladeshi migrants to reach shore in a growing crisis confronting Southeast Asia. (AP Photo/S. Yulinnas)

Indonesia Rohingya Boat People
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Acehnese fishermen are silhouetted by the rising sun as they rescue migrants who are stranded on their boat on the sea off East Aceh, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Hundreds of migrants stranded at sea for months were rescued and taken to Indonesia, officials said Wednesday, the latest in a stream of Rohingya and Bangladeshi migrants to reach shore in a growing crisis confronting Southeast Asia. (AP Photo/S. Yulinnas)

Indonesia Rohingya Boat People
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Newly arrived migrants take a shower in Simpang Tiga, Aceh province, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Indonesia and Malaysia agreed Wednesday to provide temporary shelter to thousands of migrants believed to be stranded at sea, a potential breakthrough in the humanitarian crisis confronting Southeast Asia after weeks of reluctance by the region's nations to take responsibility. (AP Photo/Binsar Bakkara)

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Migrants sit on the deck of their boat as they wait to be rescued by Acehnese fishermen on the sea off East Aceh, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Hundreds of migrants stranded at sea for months were rescued and taken to Indonesia, officials said Wednesday, the latest in a stream of Rohingya and Bangladeshi migrants to reach shore in a growing crisis confronting Southeast Asia. (AP Photo/S. Yulinnas)

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Rescued migrants sit on an Acehnese fishing boat upon arrival in Simpang Tiga, Aceh province, Indonesia, Wednesday, May 20, 2015. Hundreds of migrants stranded at sea for months were rescued and taken to Indonesia, officials said Wednesday, the latest in a stream of Rohingya and Bangladeshi migrants to reach shore in a growing crisis confronting Southeast Asia. (AP Photo/Binsar Bakkara)

Soluzione in vista? Un nuovo capitolo nella storia di questi migranti è stato scritto dal primo ministro malese, Najib Razak, che ha ordinato alla Marina militare e alla Guardia costiera del Paese di avviare le operazioni di ricerca e soccorso dei migranti bloccati in mare, facendo diventare la Malesia il primo Paese a prendere una simile iniziativa. La decisione è arrivata dopo che Indonesia e Malesia avevano raggiunto un accordo per ospitare temporaneamente migliaia di questi migranti bloccati in mare. A dichiararlo è stato il ministro degli Esteri malese, Anifah Aman, dopo un incontro con le sue controparti indonesiana e thailandese. Un accordo che era stato raggiunto dopo che nello stretto di Malacca, al largo delle coste della provincia indonesiana di Aceh, nel nord di Sumatra, quattrocento migranti, respinti più volte da Thailandia e Malesia, sono stati tratti in salvo da un gruppo di pescatori. Erano in mare da oltre quattro mesi, denutriti e disidratati.

Ping pong umanitario. La Thailandia non li vuole perché ruberebbero lavoro alla popolazione locale, mentre la Malesia sostiene di avere già 120mila birmani illegali sul suo suolo e che è compito del governo birmano di farsi carico di queste persone. L’Indonesia ha permesso nei mesi scorsi lo sbarco in sicurezza di 1500 di loro, ma poi ha chiuso la sua frontiera marina. Sta di fatto che in questo ping pong umanitario a rimetterci sono migliaia di esseri umani. Solo le Filippine si sono fatte avanti e hanno raccolto l’appello dell’Onu, in nome dell'impegno preso con le Nazioni Unite, già con la firma della Convenzione Onu del 1951. Il portavoce del ministero degli Esteri filippino Charles Jose ha fatto sapere che il governo è pronto ad accogliere questi profughi, e il dipartimento di giustizia ha dichiarato: «Se ci sono persone a bordo di una barca che vengono da noi in cerca di protezione da parte del nostro governo, c'è un processo preciso, esistono meccanismi per gestire i rifugiati e i richiedenti asilo».

 

 

I Rohingya. I migranti appartengono tutti all’etnia Rohingya, minoranza musulmana in un Paese al 90 percento buddhista. Noti anche con il nome di Burma, sono presenti in Bangladesh, Arabia Saudita, Pakistan e soprattutto in Birmania, nello stato di Rakhine o Arakan, una zona che unisce alcuni fattori etnolinguistici di India e Bangladesh. La loro presenza in queste terre risale all’VII secolo. Si tratta di meno di un milione di persone, che il governo birmano ritiene bengalesi e quindi immigrati illegali. Non solo non hanno la cittadinanza, ma non possono nemmeno accedere alla sanità e all’istruzione. Molti decenni fa fuggirono dal Bangladesh perché discriminati e si rifugiarono in Birmania. L’Onu li ha descritti come la minoranza più perseguitata al mondo.

La questione etnica. Tecnicamente sono di origine bengalese, ma con la dominazione coloniale britannica del XIX secolo molti indiani vennero arruolati come funzionari dell’amministrazione coloniale e come braccianti agricoli. In particolari furono proprio quelli che dovevano fare i braccianti a essere incoraggiati a trasferirsi nell’Arakan, lo stato che oggi appartiene alla Birmania e da cui i Rohingya fuggono, terra poco fertile e ancor meno popolata. Inizialmente la convivenza non creò problemi, tanto che venivano considerati cittadini birmani. Ma con la Seconda Guerra Mondiale e il conseguente sviluppo del movimento nazionalista che portò all’indipendenza, seguì un processo di disgregazione, e lo stato di Arakan non ne fu immune. Qui i pochi musulmani formarono un movimento separatista che rivendicò l’identità etnica Rohingya. Con il golpe del 1962 e la presa del potere da parte dei militari il movimento venne annientato, generando una minoranza di ceppo bengalese diventata forzatamente apolide.

La persecuzione. Nell’estate del 2012 l’etnia Rohingya è stata vittima di una serie di episodi di violenza scatenata dai nazionalisti buddisti, che ha prodotto circa un centinaio di morti, oltre 2500 case bruciate e 140mila persone tuttora in campi profughi, col divieto di allontanarsi. A fronte di tali violenze, la risposta del Governo birmano è stata l’imposizione del coprifuoco, della legge marziale e la richiesta alle Nazioni Unite di trasferire i Rohingya in un altro Stato.  L’Assemblea Generale dell’ONU approvò una risoluzione non vincolante, nella quale si chiedeva espressamente al Governo birmano di riconoscere i diritti umani dei Rohingya, incluso il diritto alla nazionalità, e il Parlamento Europeo votò due risoluzioni dello stesso tenore. Senza alcun esito.

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