Le bracciate del profugo Ameer che in Europa è arrivato a nuoto

È una vicenda a lieto fine quella di Ameer Mehtr, ma è avvenuta in circostanze che la rendono quasi incredibile. Ameer era un atleta siriano. Si allenava nella nazionale di nuoto del Paese, a Damasco, prima che scoppiasse la guerra. Come molti suoi connazionali, è fuggito per scampare al caos e alla leva militare obbligatoria: «Ero terrorizzato dall’idea di essere reclutato nell’esercito: non volevo avvicinarmi alla morte. Solo perché io ero io, la mia famiglia era in pericolo. In Siria, il regime considera tutti gli uomini giovani come un pericolo». Ameer si è rifugiato nella capitale libanese, Beirut. Ma sapeva, comunque, che si trattava di una sistemazione momentanea.
L’unica possibilità. Ameer non aveva abbastanza soldi per pagare il viaggio dalle coste mediorientali a quelle europee. In Libano non aveva un lavoro e restava in una situazione alquanto precaria. L’unica possibilità che aveva era quella di attraversare le acque che dividono la Grecia dalla Turchia a forza di bracciate. Sarebbe stato rischioso, ma non esistevano altre vie di fuga, per lui. Per mesi, ogni giorno, Ameer si è allenato nelle acque davanti a Beirut. Doveva diventare abbastanza resistente da affrontare la traversata. Poi, quando si è sentito pronto, è partito per la Turchia e, da qui, si è buttato in mare.
Dalla Turchia alla Grecia. Aveva studiato con attenzione il tragitto che avrebbe dovuto seguire. Ovviamente aveva scelto quello più breve, dalle coste turche fino all’isola greca di Samos. La sua estenuante impresa è iniziata in una notte di settembre. Si è recato sulla spiaggia di Guzelcamli, dove ha corso per un’ora per non essere visto dai poliziotti di ronda. Già stanco, ha cominciato a nuotare senza esitare neppure per un istante, con indosso un costume, una cuffia e gli occhialini. Una cintura legata in vita conteneva i suoi ultimi, preziosi effetti personali: un telefono e dei chip, pieni di vecchie fotografie della sua famiglia e del suo Paese. Aveva preso con sé anche alcuni datteri arricchiti di zenzero, per evitare improvvisi cali di zucchero. Temeva di morire, ogni bracciata sembrava essere l’ultima. Ma ha continuato a nuotare per sette ore, con gli occhi fissi sulle scogliere di Samos, e alla fine ha toccato terra. Sorriso stanco e braccia spalancate: una fotografia ritrae il suo arrivo e, diffusa su Instagram, è diventata virale.
Ameer non è il solo. L’uomo era riuscito a raggiungere l’Europa, ma le sue fatiche non erano ancora terminate. Ha infatti dovuto camminare per circa 11 chilometri, per raggiungere un porto in cui poter essere registrato come rifugiato. Ameer ha trascorso un mese in un campo per profughi in Grecia, prima di partire alla volta della Svezia, dove attualmente risiede. Vive in un rifugio per richiedenti asilo e, nel frattempo, si guadagna da vivere come traduttore. Sebbene ciò che Ameer ha fatto sembri fisicamente insostenibile, il siriano assicura che non è l’unico ad essere entrato in Europa nuotando. La sua storia ha destato stupore perché è stata raccontata dai giornali, ma non è diversa da quella di molti altri rifugiati. In Medio Oriente ci sono ancora persone che stanno pensando di ripetere la sua impresa e Ameer li aiuta come può: «Abbiamo un gruppo Facebook e dal mio letto in Svezia ho raccontato come fare i bagagli e come pensare per riuscire nella traversata». A dicembre, però, non c’è nessuno che tenta di nuotare, l’acqua è troppo fredda. Bisogna attendere il ritorno della primavera.