vent'anni dopo dolly

Le due scimmiette clonate in Cina e tutto quello che ne consegue

Le due scimmiette clonate in Cina e tutto quello che ne consegue
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Sono due cuccioli di macaco “cinomolgo”, piccolo primate molto diffuso nel sud-est asiatico. Sono stati chiamati Zhong Zhong e Hua Hua, nomi che in mandarino ricordano la Cina e il suo popolo. Sono nati a distanza di pochi giorni uno dall’altro. Soprattutto hanno la particolarità di avere lo stesso identico materiale genetico senza essere gemelli naturali. In parole povere, sono stati clonati da un'équipe di scienziati del Chinese Academy of Science Institute of Neuroscience di Shanghai, coordinata da Qiang Sun.

Perché con le scimmie è più difficile. Non è la prima volta che una clonazione conquista le home page di tutti i siti del mondo. Nel 1996 venne generata la celebre pecora Dolly, primo mammifero a essere stato clonato con successo nella storia. Ma nessuno era riuscito sinora ad applicare questa tecnica con successo sulle scimmie. Un percorso che, com’è facile intuire, è un percorso di avvicinamento all’uomo. La tecnica usata per creare i macachi cinesi è complessa e prevede la rimozione del nucleo da una cellula uovo e la sua sostituzione con il nucleo di una cellula somatica del donatore. La cellula che si sviluppa diventa così un clone del donatore.

 

 

Perché sino ad ora non si era mai riusciti a fare sulle scimmie quello che invece già vent'anni fa era stato operato su un mammifero come Dolly? Le scimmie si erano rivelate in qualche modo "resistenti" alla clonazione, in quanto sono portatrici di diversi geni in grado di interrompere lo sviluppo della cellula uovo. Nei nuclei delle loro cellule differenziate sono presenti dei geni “spenti” che impediscono lo sviluppo dell'embrione. I ricercatori cinesi sono riusciti per la prima volta a riattivarli grazie a “interruttori” molecolari creati ad hoc, aggiunti dopo il trasferimento del nucleo.

La reazione della Chiesa. Ovviamente questa marcia di avvicinamento alla clonazione di un essere umano è qualcosa che inquieta e riempie di paura. «C’è il fortissimo rischio che la clonazione della scimmia possa essere considerato come il penultimo passo, prima di arrivare alla clonazione dell’uomo, evento che la Chiesa non potrà mai approvare», ha dichiarato il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita. Ma poi ha precisato: «Al contrario della ipotesi di clonazione umana, sulla quale la Chiesa non può che esprimere la sua condanna più forte e totale, sulla clonazione animale il magistero ecclesiastico non ha finora espresso una condanna esplicita, ufficiale, lasciando il tema alla valutazione responsabile degli scienziati».

 

 

L'impatto clinico. Ma oltre le paure, c’è spazio anche per le speranze. Che riguardano possibilità per la ricerca. «Siamo ora in grado, per esempio, di produrre scimmie con lo stesso patrimonio genetico eccetto per un singolo gene», ha spiegato il capo dell’equipe cinese Qiang Sun. «Il che ci aiuterà a studiare disturbi come il cancro o le malattie del sistema immunitario e metabolico e a valutare l'efficacia dei farmaci prima dell'uso clinico». Come ha spiegato Giuliano Grignaschi, responsabile del benessere animale presso l'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri il fatto di avere primati geneticamente omogenei per la ricerca «permetterà di ottenere risultati sperimentali più affidabili e facilmente riproducibili: riducendo la variabilità e l'errore statistico, si ridurrà anche il numero di campioni impiegati per fare le misure e, di conseguenza, il numero di animali sacrificati per ogni singolo esperimento».

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