6 mila pazienti

Le dure parole di quattro medici di Albino: «Abbandonati da anni, ridotti a scribacchini»

Hanno uno studio nel centro storico, raccontano problemi e auspicano miglioramenti per il futuro. «Medicina del territorio relegata a un ruolo secondario, quasi solo burocratico, grazie a una politica ospedalo-centrica e orientata al privato. Da questa esperienza si comprenda l’importanza del servizio, specialmente nelle realtà di provincia. Riqualificare anche il ruolo dei volontari»

Le dure parole di quattro medici di Albino: «Abbandonati da anni, ridotti a scribacchini»
Pubblicato:
Aggiornato:

di Fabio Gualandris

Come hanno affrontato e stanno affrontando l’emergenza sanitaria i medici di base nei territori fortemente colpiti dal virus? Lo abbiamo chiesto congiuntamente al dott. Luigi D’Agostino, alla dott.ssa Roberta Perani, al dott. Alberto Bertucci e alla dott.ssa Patrizia Previtali. Il loro studio si trova ad Albino ed è la sede principale di una Medicina di gruppo composta da sei medici di Assistenza Primaria; ci operano prevalentemente quattro medici del gruppo, tre impiegate e un’infermiera. È di circa 6 mila il numero totale dei loro assistiti.

Come vi siete approcciati all’emergenza covid?
«L’approccio al periodo dell’emergenza è stato autonomo con una riorganizzazione e una gestione dell’accesso allo studio e della sua operatività già dalla fine di febbraio, senza alcuna indicazione a riguardo ricevuta da Ats o Regione, ma contemporaneamente ai primi casi di pazienti Covid positivi emersi al Ps dell’ospedale di Alzano Lombardo».

Vi siete sentiti abbandonati? Cosa è mancato?
«È inutile che oggi stiamo a ripetere come ci siamo organizzati e quanto ci siamo sentiti abbandonati da Ats e Regione in quel periodo, visto che sono più o meno notizie che avete letto in molti articoli e sentito in molte interviste rilasciate da nostri colleghi anche più referenziati di noi, come il Presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo. Certo è che non solo nel frangente epidemico ci siamo sentiti soli e ridotti a esclusivi scribacchini, depauperati della nostra professionalità, ma sono ormai anni che la medicina del territorio è stata abbandonata e relegata a un ruolo secondario e quasi esclusivamente burocratico, grazie a una politica ospedalo-centrica e orientata verso il Privato che particolarmente in Lombardia ha raggiunto la sua massima espressione».

Individuate in questo una delle falle in Lombardia durante l’epidemia?
«Non sappiamo se sia stato questo il motivo della diffusione così veloce e aggressiva del virus, ma riteniamo che la medicina territoriale, se valorizzata, avrebbe potuto sicuramente giocare un suo ruolo nel contenimento dei contagi e nel ricorso al ricovero in ospedale dei malati, che sarebbe avvenuto probabilmente comunque, ma con un andamento sicuramente più lento e scaglionato nel tempo».

Accusate qualcuno?
«Non abbiamo colpe da sollevare verso nessuno, perché nessuno si sarebbe mai aspettato un’epidemia di tale portata e neanche la lentezza su alcune risposte e provvedimenti da parte delle Aziende preposte. Confidiamo che da questa esperienza si sia compreso l’importanza della medicina territoriale, specialmente nelle realtà non cittadine, di provincia, e che in futuro si provi a riqualificare il ruolo e l’attenzione verso i medici che operano sul territorio e di tutte quelle altre forze sociali territoriali che fino a oggi sono state lasciate in mano quasi esclusivamente al mondo del volontariato. A noi sta a cuore il benessere di tutti i cittadini che non può prescindere da un buon servizio socio-sanitario sul territorio e da una assistenza sanitaria cui possano accedere tutti senza preclusioni economiche».

Avete temuto il contagio?
«Constatata la pericolosità della malattia, è naturale che nasca la paura di essere contagiati, ma è anche vero che noi siamo sempre in prima linea e come i medici dei Ps rischiamo quotidianamente di ammalarci. Magari non per tutti, ma per molti di noi la nostra professione è comunque quella di seguire i propri assistiti fino a che è possibile con tutti i mezzi (pochi) che abbiamo a disposizione. Non siamo eroi, ma crediamo e confidiamo che il nostro ruolo non sia solo quello di curare le malattie, ma di essere fiduciari della salute dei nostri assistiti».

Ci potete dare una testimonianza o raccontare un episodio su un particolare momento drammatico che avete vissuto?
«Testimonianze significative ognuno di noi potrebbe darne tante di quei giorni drammatici, ma le riassumiamo in una sola: è stato molto pesante e difficile consolare e sostenere tutti i familiari reclusi in casa, in quarantena, mentre i loro cari morivano in ospedale senza la possibilità di rivederli. Il tempo passato al telefono con queste persone è stato enorme ma, siamo stati per loro l’unica consolazione che avevano in quel momento. È anche questo un ruolo che svolgiamo ogni giorno e tutto l’anno, ma che durante l’epidemia ha assunto un’importanza fondamentale: rassicurare, consolare, ascoltare, offrire supporto psicologico e farmacologico a sofferenze e paure. In quei momenti, non si ha il tempo di pensare a se stessi, si condivide con gli assistiti l’angoscia e la totale impossibilità di cambiare il corso degli eventi. La nostra professione, se ben svolta, non è stare dietro a una scrivania ma, far parte della storia e della vita del proprio paziente con partecipazione attiva».

Il dottor Marinoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo, in un’intervista a una testata online locale, ha dichiarato che «nella provincia di Bergamo ci sono 600 medici e 700 studi in ogni sottoscala e questa dislocazione andrà rivista».

Da questo punto di vista la vostra realtà di studio associato è riuscita a garantire una migliore organizzazione dell’emergenza?
«Il nostro studio è una realtà all’avanguardia sotto questo punto di vista...

L’articolo completo e altre notizie su Albino alle pagine 19, 20 e 21 del numero di PrimaBergamo in edicola fino al 7 maggio, oppure sull'edizione digitale QUI.

Seguici sui nostri canali