Il rapporto italo-europeo

Le tre ragioni per cui gli italiani rinunciano sempre di più a curarsi

Le tre ragioni per cui gli italiani rinunciano sempre di più a curarsi
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La crisi economica ha i suoi rivali. Almeno quando si parla di cure, perché a fermare gli italiani, spingendoli addirittura a rinunciare a una visita specialistica o a prestazioni diagnostiche o di altro tipo, ci sarebbero anche problemi sanitari, liste di attesa troppo lunghe, o pratici, mezzi di trasporti scarsi o inefficienti verso i luoghi di cura. Una scelta, quella di dire no alla buona salute, epidemica, tanto da essere condivisa nell’anno 2015 da 11 milioni di pazienti-cittadini nazionali, secondo le ultime stime Istat pubblicate alla fine de 2017 nel Rapporto sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione Europea.

 

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I tre fattori di crisi. Talvolta non si arriva neanche a una visita l’anno. O a fare la necessaria prevenzione che tutela la salute o consente diagnosi in fase preliminare e, dunque, migliori o più opportunità di cura. L’impatto economico della spesa sanitaria resta il primo ostacolo concreto per 6,2 milioni di italiani, ridimensionato sensibilmente rispetto ai 12 milioni e rotti citati dal Censis. È un dato di fatto, comunque, che in generale si rinuncia ad almeno a una prestazione, specie nella fascia di età tra 45 e 54 anni: in più del 10 per cento dei casi a trattamenti odontoiatrici e nel 9 per cento a esami e cure mediche più generali. Si salvano i farmaci, in media solo per 4,4 per cento la prescrizione viene messa nel cassetto, ma con punte di oltre il 5 sempre nella fascia di età tra 45 e 54 anni. La crisi pesa soprattutto sulle isole, per  più del 17 per cento nella popolazione over 15 e quasi del 20 per cento fra gli ultra 65enni, soprattutto se non residenti in aree urbane e con livello di scolarizzazione basso.

 

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Liste di attesa. Un’altra fetta di italiani potrebbe forse sostenere quel ticket della necessaria prestazione, ma manca la pazienza di sopportare liste di attesa troppo lunghe. Motivate forse da mala-organizzazione interna, o da strutture presenti sul territorio a macchia di leopardo. O chissà da quali altri criticità. Fatto è che per il fattore liste lumaca, troppo lunghe per 11 milioni di italiani, si dice no alle cure, per chiara rinuncia o per ritardo all'effettuazione di una prestazione.

Sulla media del quasi 16 per cento di cittadini che si sarebbe scontrato, sempre secondo dati Istat, con liste di attesa troppo lunghe, le  donne sarebbero di più, con un tasso di oltre il 18 per cento contro il 13 per cento degli uomini. Anche l’età fa la differenza: i ritardi maggiori, pari a oltre il 24 per cento, li subirebbero prevalentemente i pazienti over 74, sebbene non escludano nessuno. Nemmeno le fasce più giovani tra i 15 e i 24 anni, in cui l’impatto ritardo si aggirerebbe intorno all’8 per cento. La questione di inefficiente programmazione, dunque, influisce in maniera generalizzata sull’assistenza sul territorio nazionale così come sulla possibilità di accesso alle cure. Ma non si tratterebbe solo di ritardi programmatici, purtroppo.

 

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Il problema dei trasporti. Il peggio si tocca quando emerge un altro dato preoccupante: 11 milioni di italiani farebbero a meno delle cure per disservizi cittadini, per mancanza di trasporti soprattutto che conducono al luogo di cura. E anche se il tasso raggiunge il 5 per cento, quindi una percentuale tre volte più bassa rispetto alle liste d’attesa, non sono ammesse scusanti. Un problema, quello dei trasporti, che riguarderebbe soprattutto i pazienti senior, dopo i 75 anni: il 10 per cento, infatti, lo avverte come un problema che impedisce gravemente la cura, mentre il problema resterebbe contenuto al 4 per cento nei maschi e al 5 per cento delle donne nelle restanti fasce di età. A vedersela peggio sono soprattutto le regioni del centro in cui la carenza di mezzi di trasporto limita le cure in oltre il 7 per cento dei casi contro quasi il 3 per centro del Nord Est, ad esempio. Più seria la questione al Sud: qui i trasporti sono addotti come ‘mezzo di stop’ alle cure da oltre il 12 per cento di ultra 65enni contro poco più del 3 per cento nel Nord Est dello stivale.

Un mix di fattori. La compartecipazione di lunghe liste di attesa e difficoltà di mezzi di trasporto condizionerebbe l’accesso alle cure in particolare della popolazione con titolo di studio inferiore o più anziana, ma anche a basso reddito, con percentuali sempre più crescenti in funzione dell’età avanzata. Ancora una volta la prima prestazione sacrificata sono le cure dentistiche seguite da esami o cure mediche più generali. Ci chiediamo, è mai possibile un contesto di salute così deficitario in un Paese civile e nel Terzo Millennio?

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