Per ritrovare il vero dialogo

Le ultime cose che ha detto Bauman Sulla necessità di tornare al reale

Le ultime cose che ha detto Bauman Sulla necessità di tornare al reale
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Osservare e raccontare le principali dinamiche sociali dell’ultimo mezzo secolo ha portato Zygmunt Bauman all’elaborazione di un pensiero organico sull’epoca in cui stiamo vivendo. E probabilmente il suo pensiero è il più lucido e valido a cui possiamo affidarci oggi. Nato in Polonia nel secondo decennio del Novecento da una famiglia di origini ebree, Bauman ha assistito all’occupazione nazista del suo Paese ed è fuggito in territorio sovietico, dove si è arruolato per opporsi al dominio tedesco. Al termine della guerra, ha studiato sociologia e ha cominciato ad occuparsi di sociologia del lavoro, di socialismo e delle relazioni tra pensiero moderno e Olocausto (Modernità e Olocausto, 1992). Inizialmente di impostazione marxista, Bauman si è avvicinato progressivamente alle posizioni gramsciane e ha così cominciato a pubblicare i suoi studi su riviste destinate a un pubblico vasto, di certo non specialistico, per contribuire alla formazione di una cultura compartecipata e aperta alle masse. Nel corso degli anni si è occupato anche di negazionismo e ci ha messo in guardia contro il pericolo dell’autoassoluzione e della rimozione delle responsabilità storiche che hanno portato all’eccidio del popolo ebraico – e, si potrebbe aggiungere, a tutti gli eccidi degli ultimi due secoli.

 

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La «società liquida». È soprattutto a partire dagli anni Novanta, tuttavia, che Bauman intravede quei processi di trasformazione che si sono pienamente sviluppati negli ultimi decenni. In quel periodo lo studioso si accinge a descrivere e a spiegare ciò che nota, mettendo i suoi contemporanei davanti allo specchio senza ombre di un’analisi acuta. Nel 1995 pubblica Life in Fragments. Essays in Postmodern Morality, nel 2000 Liquid modernity (Modernità liquida, Laterza, 2002), nel 2005 Liquid life (Vita liquida, Laterza). Insieme al nuovo millennio nasce l’espressione “società liquida”, che Bauman conia per usarla in opposizione alla “società solida”, dotata di ideologie di riferimento, e caratterizzante la modernità novecentesca. Il postmoderno, l’epoca degli anni zero, è invece un tempo senza gerarchie, un tempo “mobile” e incerto, in cui i legami tra gli esseri umani sono diventati labili (Liquid love è il titolo di un altro saggio del sociologo). Nella società liquida l’individuo non è più un “produttore”, bensì un “consumatore”. Non sogna più di possedere quanto è necessario per la sua esistenza, ma vuole avere il superfluo, poiché gli status symbol sono diventati essenziali per l’accettazione sociale. I saggi del ’95 e del 2000, a cui si potrebbe aggiungere anche Globalization. The human consequences (Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone), uscito nel 1998, costituiscono le pietre angolari della sociologia contemporanea e continuano ad essere validi anche oggi. La grandezza di Zygmunt Bauman è espressa dalla sua capacità di rendere consapevole il prossimo di ciò che sta vivendo.

 

https://youtu.be/xkBy-0jiHb0

 

La vita online e offline. Il 18 e il 19 settembre è stato ospite del Festival Filosofia, una kermesse itinerante che si svolge in Emilia Romagna, da Carpi a Sassuolo. Insieme a lui è intervenuto anche Ezio Mauro, direttore di la Repubblica, con il quale Bauman ha scritto a quattro mani Babel, di recentissima pubblicazione. Il soggetto messo a fuoco all’evento emiliano è quello degli effetti del mondo virtuale sul mondo reale, sull’educazione e sulle relazioni tra persone. Nel corso del suo intervento, Bauman ha parlato di due “quartieri”, quello fisico in cui risiediamo, e quello online, a cui accediamo tramite Internet. Nel primo siamo sottoposti a una serie di condizioni che ci è impossibile cambiare e a una serie di regole (di convivenza civile) da cui non si può sfuggire. Nel secondo, invece, siamo noi a dettare le regole. La rete virtuale è un sistema che controlliamo interamente: decidiamo con chi tenerci in contatto, chi annettere ai nostri “Amici”, chi cancellare dalla lista. Non possiamo fare lo stesso con i vicini che abitano alla porta accanto. La loro presenza non dipende da una selezione del mouse. La realtà, dunque, tende ad essere avvertita dall’uomo internauta come una dimensione impositiva che sfugge a qualsiasi tipo di controllo. Al contrario, la virtualità della rete è completamente controllabile, dunque gratificante e piacevole. Freud avrebbe parlato di opposizione del principio di realtà al principio del piacere. Ma ciò che in psicoanalisi si definisce trasgressione (reale) alle regole di vita sociale e familiare, in sociologia è diventato, al suo stadio più grave, alienazione. Bauman afferma: «Tutti noi senza eccezione viviamo adesso, a intermittenza ma assai spesso simultaneamente, in due universi: online e offline». Ciò ci conduce all’interno di un labirinto di specchi, in cui la nostra immagine ci viene restituita moltiplicata e deformata. La doppia esistenza che conduciamo influisce sulla nostra identità, su ciò che decidiamo di privilegiare, il profilo di un account social o l’aspetto con cui ci presentiamo alle altre persone. La scissione della vita in due luoghi, di cui uno è tangibile, mentre l’altro è meglio definito come “non-luogo”, è lesiva nei confronti della formazione di identità forti.

 

https://youtu.be/DIaT8wwHnz0

 

Identità, morale, società. La debole definizione delle identità personali, un processo che avviene attraverso l’auto-riconoscimento e il confronti con l’altro, conduce, a sua volta, alla disgregazione della società, per come la conoscevamo, vale a dire, la società intesa come aggregazione di individui consapevoli di lavorare e collaborare per il benessere comune e il mantenimento dell’ordine. Per spiegare meglio quest’ultimo passaggio, occorre rifarsi a ciò che Bauman intende con “morale” – e che ha rielaborato a partire da altri filosofi: la morale è l’impulso ad essere per l’altro, a darsi all’altro qualsiasi sia il comportamento da questi tenuto. Un atto morale, per essere tale, implica però la presenza di un “io” che decide autonomamente di affidare il controllo ad un “tu”, che in ultima analisi coincide con la società intera – essendo la società un “Tu” plurale con cui ogni soggetto entra in contatto. Perciò, se manca un “io”, manca anche l’atto morale, e con esso una società in grado di agire a favore degli individui che la compongono.

Favorire l’interdipendenza (reale). Il venir meno dell’identità impedisce anche di andare incontro all’altro non come a una persona dramatis, cioè come a una maschera, ma come a un volto, a un’altra identità. E questo aspetto è riscontrabile nell’atteggiamento di alcuni soggetti e di interi Stati nei confronti dei migranti. L’intervento di Zygmunt Bauman a Modena (18 settembre, con Ezio Mauro) e a Carpi (19 settembre) può essere idealmente integrato da un’intervista cronologicamente anteriore e rilasciata a Antonello Guerrera, per la Repubblica. Bauman aveva espresso la sua opinione in merito al dramma dei migranti e aveva osservato che l’unico modo possibile per uscire dall’emergenza sarebbe stato quello di raggiungere l’«interdipendenza», a livello europeo, ma non solo: «Trovare vere soluzioni ai problemi reali». Ora, l’“interdipendenza” di cui si parla è, ovviamente, una interconnessione reale e tangibile, non quella della rete online. Anzi, per raggiungere una vera interdipendenza tra popoli, o una «fusione degli orizzonti», come direbbe Bauman, occorre che l’individuo si riappropri del posto che gli spetta all’interno del suo quartiere cittadino, uscendo pertanto da quello virtuale. Bauman sembra volere sfruttare le dinamiche di interdipendenza del web, per applicarle tuttavia come “medicina” alle fratture del mondo moderno. Bisogna perciò uscire dalla «prigione del benessere» e rinunciare alla finta sicurezza della dimensione virtuale, per ritrovare il vero dialogo.

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