Una polemica al calor bianco

La legge di De Magistris

La legge di De Magistris
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Luigi Di Magistris, ex magistrato attuale sindaco di Napoli, è stato condannato mercoledì 24 settembre in primo grado a un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta “Why Not”. De Magistris, che al tempo dell’inchiesta era pubblico ministero, era accusato di aver ottenuto illegittimamente i tabulati telefonici di alcuni parlamentari, senza averne l’autorizzazione. La pena è stata comunque sospesa ed è stata disposta la non menzione nel casellario giudiziario.

Per lui - e per il suo consulente informatico Gioacchino Genchi - è stata anche decisa l’interdizione dai pubblici uffici per un anno. Questo significa che, stando alla cosiddetta “legge Severino” – la legge sulle incandidabilità e incompatibilità che ha determinato la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore – Luigi De Magistris dovrebbe lasciare l’incarico di sindaco di Napoli.

De Magistris ha negato che si possa applicare al suo caso quella legge e, fino ad ora, si è rifiutato di prendere in considerazione la possibilità di dimettersi.

Cosa è stata l’inchiesta “Why Not”

L’inchiesta prese avvio da alcuni sospetti relativi alla gestione di fondi pubblici in Calabria da parte di un gruppo di potere le cui fila sarebbero state tenute da una loggia massonica coperta che al tempo i giornali chiamarono "Loggia di San Marino". Partendo dall’agenda di un imprenditore locale, De Magistris giunse a mettere sotto indagine l’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, il suo ministro della Giustizia Clemente Mastella, l’allora presidente della Calabria, Agazio Loiero, e altri politici di rilievo, fra cui Francesco Rutelli.

Per farlo - da qui l’abuso d’ufficio per cui è stato condannato - De Magistris non solo mise in atto una serie di intercettazioni, ma acquisì anche - illegalmente secondo i giudici - i tabulati telefonici di un lunghissimo elenco di ministri e di parlamentari di ogni rango e partito.

Fu l’inchiesta che – con il supporto di una violenta campagna di stampa - portò De Magistris alla ribalta e che fece grande scalpore non solo per i nomi delle persone coinvolte, ma anche per le vicissitudini che dovette subire. Tolta a chi l’aveva avviata, fu infatti avocata direttamente dalla procura generale di Catanzaro, che fu a sua volta costretta a trasferire gli atti ai magistrati di Salerno che indagavano su oscure manovre che sarebbero state messe in atto per fermare le indagini del De Magistris, nel frattempo trasferito a Napoli. Del conflitto - una vera guerra senza esclusione di colpi - tra le due procure si occuparono il Consiglio superiore della magistratura – che aprì un procedimento disciplinare contro De Magistris – e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Il nocciolo duro della questione, ossia l’inchiesta “Why Not” si chiuse alla fine del 2008, quando la procura generale di Catanzaro decretò che non c’erano elementi sufficienti nemmeno per arrivare a processo. Cinque anni dopo, nell’ottobre 2013, tutti i principali imputati furono assolti in Cassazione, dopo che per alcuni di essi era già stata chiesta l’archiviazione. In pratica non rimase in piedi quasi nulla, tanto meno la famigerata “loggia di San Marino”, che non era mai esistita. A cadere però non furono soltanto le accuse. L’inchiesta e il clamore suscitato provocarono infatti anche la prematura fine del governo Prodi.

La questione dei tabulati.

Restava da definire la parte relativa all’acquisizione dei tabulati telefonici da parte dell’ex magistrato, che, per averli, si era servito di un esperto informatico, Gioacchino Genchi. La scelta risultava di per sé sospetta, in quanto un magistrato che indaga può chiedere i tabulati direttamente alle società telefoniche. Se c’era bisogno di “hackerarli” voleva dire che qualcosa doveva rimanere nascosto. Può essere che il De Magistris, una volta dato l’incarico a Genchi, non sapesse esattamente a chi si riferissero le utenze su cui stava operando. Può essere anche che lo stesso De Magistris, considerata la delicatezza delle indagini, abbia avuto timore che, inoltrando la richiesta per via normale, le società telefoniche riferissero la notizia a persone che non dovevano esserne messe a conoscenza. Fatto sta che secondo i giudici quelle azioni non potevano - e quindi non dovevano - essere intraprese.

Cosa ha detto De Magistris.

Fondamentalmente ha detto che lui non ci pensa nemmeno a dimettersi da sindaco di Napoli; che la “legge Severino” non si applica al suo caso perché posteriore agli avvenimenti in oggetto (ma questa strada è vietata dal fatto che anche Berlusconi si provò a percorrerla, ma gli fu opposto un no grande come una casa); che “Oggi, con questa sentenza, di fatto, mi viene detto che non avrei dovuto indagare su alcuni pezzi di Stato, che avrei dovuto fermarmi. Rifarei tutto, perché ho agito con coscienza e rispettando solo la Costituzione. Vado avanti con onestà e rettitudine, principi che hanno sempre animato la mia vita e che una sentenza così ingiusta non può minimamente minare. La Giustizia è più forte della legalità formale intrisa di ingiustizia profonda”. Che “Mi chiedono di dimettermi per questa condanna, ma guardandosi allo specchio e provando vergogna devono dimettersi quei giudici”. Che "Siamo di fronte a uno Stato profondamente corrotto”.

Tanto bastava perchè l’Associazione nazionale magistrati giudicasse "gravi e offensive le dichiarazioni rese dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris nei confronti dei giudici del Tribunale di Roma in relazione alla sentenza emessa nei suoi confronti". Parole "tanto più inaccettabili - sottolinea l'Anm - poiché provenienti da un uomo delle istituzioni che ha per anni anche svolto la funzione giudiziaria”. Giusto.

Il Presidente della Camera, Pietro Grasso - anche lui ex magistrato - ha fatto presente che il sindaco “Sa benissimo che se non lo dovesse fare [di dimettersi] ci sarebbe comunque un provvedimento da parte del prefetto non appena si renderà esecutiva oppure si depositerà la motivazione della sentenza».

Un altro leggendario sindaco di Napoli, Antonio Bassolino, ha concluso laconicamente: «De Magistris è stato già giudicato dai cittadini e non bene, ne tragga le debite conseguenze».

In un Porta a Porta di diversi anni fa, quando le acque cominciavano a diventar turbolente, Roberto Castelli, che era stato a sua volta ministro della Giustizia, richiesto di esprimere un suo parere sulla questione rispose che nessuno che fosse in senno avrebbe mai potuto pensare di poter metter mano alla situazione della giustizia in Calabria, tale era il garbuglio di interessi, potentati ed altro. In fondo non aveva tutti i torti.

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