Pensieri tra le urla

Lettera amara di un trevigliese sugli eccessi del caso Pezzoni

Lettera amara di un trevigliese sugli eccessi del caso Pezzoni
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Abbiamo scelto di pubblicare una lettera inviata da un trevigliese alla nostra redazione, che va in controtendenza rispetto alle tante voci indignate alzatesi in queste settimane di scandali e polemiche sul caso Pezzoni. Non una presa di posizione, ma uno spunto per riflettere.

 

Egregio direttore,

Dunque Giuseppe Pezzoni si dimetterà il 25 novembre, giorno del suo compleanno, dopo l’approvazione del bilancio in Consiglio comunale. Il sindaco di Treviglio che non si schiodava dalla poltrona, il professore e preside che aveva mentito sulla sua laurea, il politico indagato per falso, truffa e abuso d’ufficio, finalmente getterà la spugna, fra gli applausi degli indignati che hanno vinto la loro battaglia.

Io mi permetto di non partecipare alla claque e confesso il mio peccato: ho sempre stimato e, ahimè, ancora stimo Pezzoni. A maggior ragione dopo il drammatico Consiglio comunale del 29 settembre, al quale ho voluto partecipare un po’ per curiosità, un po’ per dovere civico. Ne sono uscito choccato: francamente  avrei risparmiato al peggior nemico quanto è accaduto quel martedì sera, figuriamoci a Pezzoni. Ma il nostro tempo ha i suoi riti sacrificali e i paladini della legalità amano condurre i processi in piazza e comminare anticipatamente ai presunti rei la sanzione della gogna.

Tutto questo è puntualmente accaduto quella sera. Un uomo ferito, un bravo insegnante (lo dicono i suoi studenti) e – aggiungo io - un ottimo amministratore, è stato aspettato per ore prima e dopo il Consiglio, per essere insultato, schernito, vituperato da una masnada di grillini urlanti, gente che probabilmente non lo ha mai veramente conosciuto e verso i quali il sindaco non ha commesso nessuna colpa particolare. Nella bagarre seguita alla riunione non ci si è limitati a stupidaggini e volgarità di ogni genere: si è arrivati persino alle mani, il tutto in un clima rivoltante, dove il livore e la rabbia l’hanno fatta da padroni. Ma che gente è questa?

Con ciò non intendo affatto sminuire la gravità dell’errore commesso da Pezzoni – ingannare scuola e alunni è socialmente imperdonabile - e ammetto come più che legittime, e fors’anche necessarie, le richieste di dimissioni da sindaco che piovevano da più parti. Questo però nulla ha a che vedere con quanto è accaduto in piazza.

Ho trovato altrettanto nauseanti le prese di posizione in aula di alcuni consiglieri, in special modo quelli che, surclassati dall’indubbia capacità di amministrare dimostrata dal Pezzoni sindaco, per cinque anni non hanno letteralmente “visto la palla”, come si dice in gergo calcistico. Uno di loro in particolare mi ha colpito, l’ex sindaco Ariella Borghi. Aveva di fronte un avversario ormai sconfitto, anche se su un campo diverso da quello politico e pur chiedendo legittimamente le sue dimissioni avrebbe avuto l’occasione di rendergli almeno l’onore delle armi. Invece ha preferito infierire, far la morale e oltraggiare chi già era battuto, al punto da arrivare a dirgli: “Non fa nulla se ci sarà un buco di bilancio, Lei se ne deve andare”. Eppure fino a pochi giorni prima Pezzoni era per molti – e questo lo sanno anche i compagni della sinistra - un bravo primo cittadino, uno che per Treviglio si era speso con competenza e con il coraggio di scelte impopolari.

Un paragrafo a parte, in quella serata, meritano i giornalisti: tutti a stracciarsi le vesti, tutti a sottolineare che uno così “in ogni Paese del mondo si sarebbe già dimesso”, che “è così attaccato alla poltrona da non mollare nemmeno ora” e via, di banalità in banalità. La cosa che mi ha colpito è che molti di loro conoscevano il sindaco, ci avevano avuto a che fare, sapevano che è una persona sinceramente appassionata alla propria comunità. Non ne ho sentito uno che esprimesse dispiacere per quanto era successo, non uno mosso a compassione per una persona che aveva sbagliato - anche tanto, indubbiamente -, ma che aveva anche ammesso il suo errore e chiesto ripetutamente scusa a tutti. Non un solo cronista, di quelli che fino al giorno prima gli offrivano pagine e gli chiedevano dichiarazioni, è stato sfiorato dal dubbio che se Pezzoni in quell’occasione aveva deciso di non lasciare immediatamente la carica avrebbe potuto farlo per senso di responsabilità, perché mollare in quel momento avrebbe significato sforare il patto di stabilità, bloccare le opere in essere, non pagare i fornitori e consegnare anzitempo il Comune a un Commissario che svolgerebbe unicamente l’ordinaria amministrazione.

Niente, tutti in coro a ripetere i mantra grillini, tutti a recitare il canovaccio imposto dalla correttezza legalitaria. Personalmente mi sarei aspettato che cronisti con tanto fiuto indagassero un po’ anche sui retroscena politici dell’accaduto. Magari ci potrebbe essere qualcosa di più oltre alla ricostruzione offerta dagli Sherlock Holmes del Corriere. Invece, semplici frasi indignate e scontate, buone solo ad aizzare le folle.

Infine, permettetemi anche una piccola nota sulla tempistica della magistratura: proprio quel martedì, prima del consiglio, la Guardia di Finanza ha fatto visita agli uffici del Comune e in contemporanea si è appreso che il sindaco e quattro assessori risultavano indagati per abuso di ufficio. La delibera di Giunta incriminata è del 2012, gli atti cartacei richiesti dalla Procura sono stati consegnati a maggio 2014 e il primo giorno libero per la perquisizione, e per iscrivere primo cittadino e giunta tra gli indagati, è stato proprio quel martedì 29 settembre 2015. Che coincidenza! Che tempismo! Sarà, ma a me certe cose provocano un po’ di disagio. E comunque sia, il sindaco sotto inchiesta, per alcuni è stato un motivo in più per “dargli al bugiardo”, per altri – leggi Forza Italia, che con Pezzoni ha più di un conto aperto - un regalo inaspettato.

«Voglio portare avanti con senso di responsabilità gli aspetti più importanti del mio mandato e lo faccio per la nostra città. Poi rassegnerò le dimissioni», ha detto Pezzoni l’altro giorno annunciando la data dell'uscita di scena. Non avevamo dubbi. Buon compleanno e buona fortuna, sindaco. A me dispiace che sia finita così.

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