Dal fronte siriano

Le lettere degli jihadisti francesi alle famiglie rimaste a casa

Le lettere degli jihadisti francesi alle famiglie rimaste a casa
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«Sono stufo marcio di stare qui. Il mio iPod non funziona neanche più. Devo tornare a casa». È lo spaccato di un mondo giovanile come tanti, quello che emerge leggendo Le Figaro. Ma le lettere che il giornale francese ha pubblicato non arrivano da qualche college europeo, bensì dalla Siria: sono le testimonianze di alcuni dei 376 militanti partiti dalla Francia per combattere a fianco dell’Isis nei mesi scorsi,  e che ora scrivono alle famiglie rimaste a casa, per cercare di spiegare i loro sentimenti: orgoglio, sì, ma anche tantissima paura, stanchezza e voglia di tornare.

Cosa scrivono dal fronte siriano. C’è, appunto, chi da voce alla nostalgia dei comfort tecnologici più occidentali, ma anche chi non ne può più di combattere e fare vita da campo. «Di base non faccio null’altro che distribuire vestiti e cibo», spiega un giovane da Aleppo. «Aiuto anche a pulire le armi e porto via corpi morti dal fronte. Ma l’inverno sta arrivando. Comincia a diventare davvero dura». Un altro è più esplicito: «Non ne posso più. Mi fanno fare solo il lavapiatti». E poi c’è chi ha paura: «Vogliono mandarmi al fronte, ma non so come si combatte». C’è scrive pensando alla nazionalità dei figli: nati in Siria, verranno riconosciuti dallo Stato francese? E ancora chi teme per il ritorno a casa: si dice che un giovane francese sia stato decapitato dopo aver detto ad un emiro di voler seguire un amico e andarsene in Francia.

La Francia li riaccoglierebbe? Già, il ritorno in Francia. Tanti quelli che vogliono tornare, pochi però quelli che, chiaramente, li vogliono indietro. «Ognuno sa che, tanto più a lungo sta là questa gente, peggio sarà per loro», spiega a Le Figaro un avvocato francese. «Avendo visto e commesso atrocità, diventano come bombe ad orologeria». Il legale appartiene ad un gruppo di esperti che sta affiancando le famiglie di questi combattenti rimaste in patria, cercando di ricostruire le loro storie: la partenza per la Siria, la guerra in Medio Oriente, la sensazione di molti di essere stati “imbrogliati” nel compiere questo viaggio azzardato. «Abbiamo avuto contatti con la polizia e le autorità giuridiche francesi, ma è un tema troppo sensibile», spiega ancora l’avvocato. «Nessuno vuole prendersi il rischio di tenere una linea ufficiale che incoraggi i disillusi a tornare a casa. Cosa potrebbe succedere se qualcuno di questi fosse poi coinvolto in un attacco terroristico in Francia?».

Quanti sono i ragazzi francesi coinvolti. La Francia è uno dei Paesi più coinvolti in questo fenomeno “migratorio” verso la Siria: si contano almeno 376 militanti partiti da Parigi e dintorni negli scorsi mesi. Di questi, 100 sono già tornati a casa, con 76 arresti. I ritorni, insomma, non sono una novità, bensì materia nota e spinosa: tutti ricordano che il folle che sparò al museo ebraico di Bruxelles lo scorso maggio, fermato poco dopo a Marsiglia, era stato proprio a combattere in Siria. Un caso isolato, forse, oppure la paura di trovarsi il nemico in casa. E sullo sfondo, restano le lettere di questi ragazzi, disillusi e traditi nei loro ideali. Come Majeed, ragazzo indiano musulmano, che dopo sei mesi di combattimenti in Siria è tornato a casa sua, a Mumbai: «Lo Stato Islamico violenta moltissime donne. Non c’è alcuna guerra santa, né alcun sermone del libro sacro che viene seguito», ha spiegato il 23enne alle autorità indiane che lo interrogavano.

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