Spaccature e festeggiamenti

Divisi, ma stessa voglia di vincere Il futuro dello sport è nei Balcani

Divisi, ma stessa voglia di vincere Il futuro dello sport è nei Balcani
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Perché non andiamo a prendere i nostri ragazzi, andiamo a fargli sentire il calore, tutti in piazza, dai scendiamo. Potenza dei social. Così a Sarajevo si sono riuniti uno, cento, duecento, cinquantamila persone, tutte a festeggiare la Bosnia Erzegovina che ha vinto l'Europeo di basket. No, non l'Europeo e basta: quello Under16. Da noi al massimo ci sarebbero andati in dieci, facciamo venti perché c’è sempre qualche genitore. Che cos'è che ha spinto tanta gente a festeggiare la vittoria di una competizione giovanile? Perché lo sport (spesso) unisce? Sta succedendo qualcosa nell'ex Jugoslavia, e come sempre sono le manifestazioni sportive a darcene una chiara anteprima. Era già successo qualche settimana prima quando a vincere il mondiale di calcio Under20 era stata la Serbia. Aveva battuto (a sorpresa) il Brasile. A Belgrado, quella notte di festa, la gente si era riversata nelle strade a gridare e a cantare la nuova generazione di fenomeni. È la spaccatura tra i popoli che si è amplificata o è la voglia di esultare che sta prevalendo?

 

 

La grande Jugoslavia. Quel che è certo è che dopo le guerre e gli orrori, i paesi dell'ex Jugoslavia stanno ritrovando la polvere d'oro di tanti anni fa. Proprio quest'anno ricorrono i venticinque anni dalla scomparsa di una delle nazionali più forti di tutti i tempi. Era la Jugoslavia, quella macchina di gioco e gol che andava in giro per il mondo a incantare tutti. La chiamavano il Brasile d'Europa, con quella formazione, quei giocatori che avevamo imparato a conoscere in Italia, nella nostra bella Serie A. Stojkovic, Savicevic, Suker, Mihajlovic, Boksic, Boban e Jugovic. Elenco infinito. Non è possibile stilarne uno finito, i campioni stavano sparsi in tutto il continente. Ma la storia della Jugoslavia è ben più lunga e gloriosa di così. Parte da lontano, dal terzo posto ai Mondiali del 1930 e continua con i due argenti olimpici nel 1948 e 1952. La prima età dell’oro del calcio slavo è negli anni Sessanta, con la vittoria alle Olimpiadi e il secondo posto agli Europei nel 1960, il quarto posto ai Mondiali del 1962 e poi di nuovo il secondo posto agli Europei del 1968. Di più. Questa volta l’Europeo di casa nel 1976, e, nell'autunno del 1987, a Santiago del Cile la giovane Jugoslavia vince i Mondiali Under 20. Quel giorno non vanno a festeggiare in cinquantamila, sembra tutto normale.

 

https://youtu.be/I7lxYe8zRfQ

 

E se a Italia '90...? Se ufficialmente la nazionale di calcio jugoslava cessa di esistere il 1 giugno 1992, in quegli anni tutto è già sfaldato: i croati fanno parte di un'altra nazionale, la voglia di divisione è forte, ogni cosa è diversa. Bisogna tornare indietro ancora un po', allora, alle notti magiche di Italia '90 per ricordare la vera, grande Jugoslavia. Quella squadra arriva ai quarti di finale e ci vuole il dio del calcio in persona, Maradona, per fermarla. Da lì in poi la storia della Jugoslavia diventa ex, si fa un lungo filo spinato, una divisione continua. «Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni e due alfabeti», come cantano ancora oggi i vecchi sostenitori di Tito, che la Jugoslavia l'aveva unita dimenticandosi di tutte queste differenze. Spesso gli storici si sono chiesti: se avesse vinto quella squadra, quella di Italia '90, sarebbe bastato a unire il Paese definitivamente dimenticando i problemi? Non è successo, e oggi è diventato anche inutile chiederlo. Piuttosto, le differenze oggi che sono nate nuove generazioni stanno diventano qualità intrinseche di ogni Paese. Calcio, basket, pallanuoto: ogni sport ha i suoi protagonisti, e al momento sono alti così, hanno i brufoli e giocano nelle nazionali giovanili. L'Under 16, l'Under 20. Campioni di domani. Forse divisi da qualcosa di più grande. Ma accomunati dalla voglia di vincere.

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